lunedì 7 settembre 2009

Turchia


Sapevo già da tempo che il mio viaggio in Turchia, e nello specifico a Istanbul, avrebbe cambiato qualcosa. Sapevo che stavo per arrivare dinnanzi alla porta per l’oriente e che travalicandola non sarei tornato solo con qualche souvenir da Gran Bazar in più e qualche bella foto da mostrare agli amici. Non sapevo cosa, nello specifico, vi avrei trovato. Non lo so nemmeno adesso o forse sì, magari lo scrivo e proviamo a vedere cosa succede.

L’incipit a Istanbul

Istanbul la decadente, lo specchio dentro cui si riflettono i fasti antichi dei regni Romano d’Oriente, Bizantino e Ottomano, ha avuto il potere, strano e subdolo, di far tornare indietro l’orologio della memoria, di far scorrere le immagini di viaggi e esperienze passati su un nuovo nastro colmo di inediti commenti in sovraimpressione.
Istanbul placidamente addormentata sulle acque del Bosforo, del Marmara e del Corno d’oro è la città delle piccole cose dove ho riscoperto vecchi riti nelle sue strade piene di persone, cani, gatti e cose in vendita. Ho incontrato vecchi racconti della mia città, Cremona, mentre, seduti ad un bar, un venditore ambulante ci offriva pistacchi riportando la mente ai racconti di mia nonna che ricordava il venditore di lupini, visitatore fisso e gradito, delle osterie di un tempo. Sono rimbalzato nella tristezza fiera dei fasti austroungarici che ho annusato a Vienna mentre precorrevo le stanze dei sultani ottomani ricordo di un impero che, scomparso all’improvviso, ha abbandonato sulla terra tanto intensi quanto malinconici ricordi di un tempo glorioso che fu e che mai più tornerà. Ho sentito salire la furia cieca della musica quando in una strada nei dintorni di beyoglu ho ascoltato il suono della sono rimasto lì immobile accostato con le spalle ad un albero ripensando a quando sento il suono della tromba con la sordina e mi si rizzano tutti i peli delle braccia ed i brividi mi scorrono come lievi scariche sulla pelle. Ogni marciapiede, ogni bar, ogni angolo, ogni casa era un porta che dava su una stanza della memoria in fondo alla quale si poteva trovare un’altra porta la quale aperta dava su un’altra stanza la quale dava accesso ad un’altra ancora in un infinito gioco ricordi, specchi, emozioni.
Capisci che la città non è solo fatta di case, strade, persone e oggetti ma ha un’anima nascosta come il fuoco sotto la cenere. Istanbul può sembrare sospesa nel tempo così elegante, sonnolenta, fiera e malinconica ma è una lente attraverso la quale guardarsi.
E così mentre mescoli la zolletta di zucchero che hai fatto scivolare nel bicchiere da tè in un bar che guarda il Corno d’oro, mentre osservi i gesti, cadenzati e simmetrici, della preghiera in moschea, mentre compri la pannocchia abbrustolita dal venditore ambulante per strada, mentre osservi i pescatori attraversando il ponte di Galata su un tram affollato capisci la bellezza delle piccole cose e Istanbul ti ricorda che anche tu vivi di piccole cose sia quando sei a casa sia quando sei in viaggio.

I luoghi e le persone

I luoghi ovvero le strade, le piazze ed i palazzi, ad Istanbul soprattutto, ma in Turchia in generale, sono fondamentali in quanto sono luoghi di ritrovo, famosi o sconosciuti che siano. Niente è così lontano dall’occidente come la voglia di ritrovarsi per strada o su un battello, in un ristornate o una bottega a parlare, spiegare e raccontare a qualasiasi ora del giorno e della notte. Ho visto centinaia o forse migliaia di persone sedute su piccoli sgabelli a gruppi di due, tre o quattro sul ciglio della strada mentre si infervoravano in discussioni a me ignote bevendo tè o giocando alla tavla. Può sembrare molto fannullone agli occhi dell’operoso europeo in realtà è un modo diverso di intendere la socialità ed il momento libero. Noi europei tendiamo a chiuderci in casa, il turco no, ama ancora l’aria aperta e la chiacchera fine a se stessa. Ed allora i luoghi si riempiono, ma che dico riempiono, si affollano di persone ed assumono una nuova dimensione, un nuovo valore. Le piazze meno felici dal punto di vista artistico si affollano di persone, animali, oggetti, profumi, rumori e si trasformano in monumenti alla socialità che meritano una fotografia ed un po’ del nostro tempo tanto quanto il palazzo Topkapi o Hagia Sophia o le Moschea Blu e di Solimano.

La religiosità

Immagino che scrivere, non male, della religione mussulmana in questo periodo di babau e streghe non compiacerà ai più ma la faccenda mi lascia abbastanza indifferente e quindi lo scrivo. Sono entrato nella prima mosche della mia vita, la Moschea blu, molto turistica devo sottolinearlo, completamente a cuor leggero anche per l’atmosfera abbastanza rilassata nei dintorni. Turisti con vestiti firmati, telecamere e macchine fotografiche digitali, zainetti e telefoni cellulari sempre al lavoro brulicavano ma nessun fedele sembrava curarsene mentre si lavava mani, viso, collo e piedi alla fontana di fronte all’entrata. Ho pensato a quanto fosse lontana l’idea di Islam che ci raccontano con interessata saccenza i vari signori dei media o che comunque esistono, per quanto ne vogliano dire, diverse tipologie di Islam ed io avevo davanti ai miei occhi quello moderato. Ma questi velenosi pensieri, che subito mi sono insinuati nella mia testa così sensibile alla polemica, sono scomparsi mentre osservavo la preghiera. I movimenti ritmici, la concentrazione e l’imperturbabilità nonostante il vociare sommesso dei turisti, gli schiamazzi dei bimbi, liberi di correre e rotolarsi sui tappeti, ed i continui flash delle macchine fotografiche, mostravano una sensibilità religiosa molto più profonda e radicata che nel nostro occidente. Lo dico con distaccato stupore in quanto ateo convinto, ma il credo mussulmano possiede aspetti tanto inquietanti, quali la condizione della donna e il fondamentalismo, quanto affascinanti ovvero la tensione spirituale che si avverte nei molti praticanti. Quanto sono lontane le nostre chiese che oramai sembrano contenitori vuoti, frequentati solo da turisti o qualche anziana signora che sgrana il rosario ricordando i propri morti o qualche fedele occasionale che accende il cero alla statua di turno chiedendo una piccola grazia per il figlio o per la moglie malata. Il mussulmano mi è sembrato che ci creda di più e che le tensioni che corrono tra la religioni abramitiche le interpreti più religiosamente che politicamente, come al contrario facciamo noi. Il nostro trattare la religione come una tradizione da difendere, più che un vero e proprio credo da seguire, differenzia profondamente la nostra cultura dal quella mediorientale e non serviranno a nulla le campagne conservatrici che attraversano l’Europa. La spiritualità che abbiamo perso, e che io in tutta sincerità non rimpiango, nasceva dal nostro intimo e nessuno dall’esterno potrà mai riportacela coattivamente. Semplicemente loro ce l’hanno ancora e noi non ce l’abbiamo più. A noi, a me, non rimane che osservare la loro preghiera, più estasiati non tanto dalla religione in se e per se, ma dal modo di interpretarla.

La Storia

La storia in Turchia è la polvere che scorre sulle strade, tutto ciò che abbiamo studiato e conosciuto è passato da qui ed a lasciato una traccia. Popoli e Religioni hanno calcato queste terre ed i Turchi pare che non se ne curino. Non si tratta di menefreghismo o ignoranza: le moschee, i palazzi ottomani, le chiese ortodosse, le rovine di Troia, i campi di battaglia della prima guerra mondiale, le città grecoromane Efeso, Pergamo e Hyerapolis, le mura bizantine, le sinagoghe sembrano per i Turchi oggetti di uso quotidiano e vi riservano la stessa attenzione che noi riserviamo agli oggetti che teniamo sul comò di casa. Non vi è sensazionalismo ne menefreghismo, solo disincantato e fatalistico distacco. Qualche scrittore userebbe l'aggettivo malinconico.

Conclusione

Chi è o cos’è Istanbul? Chi è o cos’è la Turchia? Non lo so. Per me è ancora un mistero dopo tutte queste righe a scrivere e scrivere di emozioni più che di luoghi. Ma forse, se proprio si deve essere costretti ad infilare un finale in ogni cosa che scriviamo e mi si concede la licenza di scrivere una banalità trita e ritrita, posso dire che entrambi sono porte sull’oriente si ma anche su noi stessi, come già dicevo. Porte che danno su altre porte, a noi sta scovare le chiavi che le aprono una ad una.



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