giovedì 31 dicembre 2009

Buon anno

Sembra ieri che festeggiavamo il nuovo millenio ed abbiamo già fatto 10.

Dieci anni di guerre, di minacce, di attentati, di pandemie, di morti sulle strade, di morti ammazzati.
Sembra tutto negativo in questo primo decennio, l'Italia che va a rotoli, il mondo che va a rotoli, i ricchi sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri. C'è un solo ottimista, lui, Silvio Berlusaconi, hanno tentato di toglierli il sorriso, con la forza, ma non ci sono riusciti... almeno in parte.

Forse era destino che passassimo un nuovo medioevo, dopo un novecento controverso la piccola fiamma accesasi dopo la fine delle guerre mondiali era troppo debole per ardere a lungo, il nuovo ordine mondiale non è quello della pace e dell'ugualianza ma quello dell'inchino al Dio denaro, della sottomissione alla finanza ed ai poteri forti, dell'assoggetamento alla finzione della occidentalizzazione.

E' andata così e non sembra che ci sia modo di migliorare nel breve periodo.

Buon anno quindi, ma non a tutti, solo:
- a coloro che lottano per difendere il loro posto di lavoro dagli speculatori
- agli immmigrati che rischiano la vita su un barcone per trovare la loro america
- a coloro che hanno perso il lavoro ed ora mangiano alla mensa della carità
- a chi sta male, vorrebbe morire, ma non glielo permettono
- a chi non ha nessuno con cui festeggiare
- a chi è stato fregato dalle banche
- a chi vive in un paese in guerra
- a chi lotta per gl'altri
- a chi ha deciso di spegnere la televisione ed accendere il cervello
- alla mia ragazza, alla mia famiglia, agli amici tutti.

mercoledì 16 dicembre 2009

πάντα ῥεῖ

Ci sono momenti, nella vita delle persone, in cui si scende per strada e ci si accorge il sole illumina qualcosa di nuovo sulla strada che percorriamo ogni giorno: un negozio appena aperto, modelli nuovi di auto, vestiti e pettinature mai viste. Tutto ciò che vediamo intorno a noi muta tanto lentamente quanto inesorabilmente, il mondo seguita a girare su se stesso, senza sosta, e ad ogni giro qualcosa, o qualcuno, nasce e qualcosa, o qualcuno, muore. Nel bene e nel male.
Ci sono momenti, e sono terribili, in cui ci accorgiamo di essere inadatti a questi cambiamenti o semplicemente leggermente "fuori tempo", un po' indietro, come quando mio Papà comprò un videoregistratore e vide la facilità con cui io o mio fratello interagivamo col nuovo strumento mentre lui faticava e cercava, con malcelato fastidio, di capire cosa facevamo seguendo il libretto delle istruzioni. Quello che capitò a mia Papà capita a tutti, anche a me. Intorno a me, a noi, il mondo cambia e non solo nelle cose materiali, negli oggetti che vediamo e tocchiamo, ma cambiano anche le persone, i desideri, le idee, le passioni. πάντα ῥεῖ (panta rei, scrivendolo con l'alfabeto latino) "Tutto scorre" disse Eraclito cinquecento anni prima di Cristo:
« Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell'impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va.»
scusate se è poco.

Ho questa immagine in mente: un uomo è sul ciglio del suo fiume e guarda l'acqua che scorre. Questo gli da ansia, vorrebbe toccare tutta quell'acqua ma non lo fa ed essa scorre e non torna più, incomincia a girarsi rigirarsi sempre più agitato, cerca di prendere l'acqua con le mani ma ne prende troppo poca e poi gli scivola subito dalle mani mentre cerca di fermarne altra. Si ferma, si guarda intorno, capisce di non poter fermare l'acqua, da giovane aveva corso sula riva del fiume, si era gettato nello stesso, aveva giocato con l'acqua, ma ora ha la sensazione implacabile di non poterla seguire, si sente inadatto, lento, vecchio.

C'è un'altra frase che mi balugina nel cervello da qualche giorno ed è di Albert Camus:
“Vivere contro un muro, è vita da cani. Ebbene, gli uomini della mia generazione e di quella che entra oggi nelle fabbriche e nelle facoltà, hanno vissuto e vivono sempre più come cani. Grazie alla scienza, grazie soprattutto alla scienza”
l'ho letta in un libro di Leonardo Sciascia, l'ha usata per commentare i motivi che lo avevano spinto a trattare il caso Majorana, in un articolo apparso su La Stampa il 24 dicembre del 1975. Majorana era un fisico geniale che visse il suo apogeo verso la fine degli anni trenta quando scomparve, secondo Sciascia, perché aveva intuito quello che la Fisica avrebbe scoperto e creato e l'umanità avrebbe usato: la bomba atomica, ad oggi la peggiore delle invenzioni dell'uomo. Majorana si dissociò dai continui mutamenti dell'uomo, dalle continue scoperte e sparì, sempre secondo Sciascia, in un Monastero del Sud, nessuno lo trovò più. Rifiutò il cambiamento, lo scorrere dell'acqua.

Un secondo uomo è sul ciglio del suo fiume, guarda l'acqua che scorre, capisce il suo moto, la sua sostanza, il suo essere. Intuisce che il fiume potrebbe uscire e travolgerlo e che tutta la sua intelligenza non basterà per fermarlo tanto nel greto quanto fuori. Si allontana, trova un posto isolato, si siede, si prende la testa tra le mani, incassa il viso tra le ginocchia e decide che non si muoverà più da lì, non andrà più a guardare il fiume.

Le persone che vedo intorno a me, i discorsi che ascolto, le parole che leggo tutto converge verso questo problema quasi esistenziale, il disadattamento o disallineamento naturale dell'uomo nei confronti del naturale evolversi del mondo, il suo trovarsi con i piedi nel futuro e la testa alla disperata ricerca di ciò che è passato, di ciò che non vi è più.

Il primo uomo è ancora lì, a mala pena si è accorto di ciò che ha fatto il secondo uomo, il suo strano comportamento, lui rimane lì a fissare inebetito l'acqua che scorre, vorrebbe seguirla, fermarla, averla. Nemmeno si accorge della sua pericolosità. Allora ha un'idea, o gli viene suggerita, prende un barattolo di vetro e ne racchiude lì dentro un poco, quanto riesce, e la tiene con se. Segretamente consapevole che prima o poi l'acqua evaporerà o puzzerà in maniera nauseabonda, ma comunque felice di averla fermata per un attimo, di poterla tenere con sé. Essa sarà la sua tradizione

martedì 24 novembre 2009

Salutando Rosolino

Quando qualcuno se ne va via, intendo per sempre, parte anche qualcosa dentro di noi. Ieri sera ho ricevuto un messaggio, diceva:"un tratto dell nostra amicizia è morta, ... Rosolo". E' vero: anche le amicizie si nutrono di eventi, luoghi e persone, e quando qualcosa viene a mancare le stesse non si sviliscono ma sicuramente soffrono, nel significato più letterale del termine. Le persone che conosciamo non si limitano ad essere mera scenografia della nostra vita ma diventano attori attivi nella nostra personale tragicommedia e quando un attore se ne va tutta la storia ne risente ed a volte prende anche nuove vie. Vi sono accadimenti infatti che, senza che ce ne accorgiamo, cambiano il corso della nostra vita.
Rosolo a modo suo ce l'aveva cambiata, la vita, già molto tempo fa quando aveva accolto, me e Franz, nella sala della sua trattoria, una delle poche che abbia ancora il diritto di chiamarsi così in Italia e nel Mondo, e, come viandanti che trovano un rifugio dopo un giorno e una notte di cammino, ci eravamo sentiti finalmente a casa, o qualcosa di simile, sin da subito. Poche smancerie, vino a buon prezzo e panini ben imbottiti, non ci sembrava vero. Poi la differenza la fanno le persone e piano piano dal mangiare e bere si è passati, in maniera naturale, a ridere ed a scherzare con Rosolo e gli avventori da osteria, come noi, fino a diventare amici di tutti, fino ad acquisire una una piccola famiglia alternativa con Rosolo capo famiglia.
Quante volte mi sono rifugiato da lui in cerca di quella tranquillità un po' campagnola fatta di bicchieri di vino e chiacchiere appoggiati al bancone, in fuga dal mondo del lavoro e da quella società così ben vestita ed a modo, così ignorante e plastificata, a ridere, a scherzare, a parlare di politca, sport e cronaca, ad ascoltare racconti, un po' allegri ed un po' tristi, di amicizia, di risse, di colossali bevute, di pranzi e cene, di gite, di persone.
Momenti che ho qui con me e che porterò sempre in giro per il mondo ovunque io vada.

Domenica forse è iniziato un nuovo cambiamento, ma questo poco conta oramai, vorrei solo sapere se anche io ho dato qualcosa a Rosolo da portarsi nel luogo in cui è andato o semplicemente da tenersi stretto mentre era ancora in vita. Chissà.

lunedì 23 novembre 2009

Il crocifisso e le radici razionalistiche dell'Europa

Il Cristo in croce è un simbolo, prima di tutto, e nell'etimologia della parola stessa, dal greco σύμβολον súmbolon ovvero "mettere insieme", troviamo il suo significato più profondo. Potremmo disquisire a lungo sul significato religioso, politico, psicologico e sociale senza trovare però il punto focale della questione. Il crocifisso è il raccordo tra due entità: la religione e l'umanità. La croce è il simbolo visivo, un monito impresso in varie forme e colori su un muro, per ricordarci la fede cristiano cattolica. È un monito: non dimenticare. Ci sono vari modi per vivere la spiritualità e la ricerca del mistico ed è per questo che la croce è lì, per ricordarci in quale modo dobbiamo veicolare l’irrazionale.
Gesù di Nazaret fu un uomo, un predicatore ebreo, vissuto duemila anni fa nella provincia romana della Giudea. Le cronache storiche dell’epoca non ci parlano di lui eppure la sua storia e la sua vita sono state talmente importanti, per l’uomo europeo, che la Storia con la S maiuscola la scandiamo secondo la sua nascita di cui è punto centrale. Tutto è avvenuto, per noi occidentali, prima o dopo di Cristo e tutto questo solo sulla base dei vangeli: i quattro ufficiali di Marco, Matteo, Luca e Giovanni, più una ventina di apocrifi ed un'altra decina tra ipotetici o perduti.
Morì sulla croce, Gesù di Nazaret, ucciso tecnicamente dai romani, anche se la colpa fu data agli ebrei, gli stessi romani che trecento anni più tardi, sotto il regno di Costantino I (e Licinio), con una mossa più politica che spirituale smetteranno le persecuzioni nei confronti dei cristiani e lo eleggeranno ufficialmente come Messia, figlio di Dio, la di cui parola avrebbe portato in mezzo agli uomini durante la sua breve vita. E sulla base dei vangeli, concilio dopo concilio, da Nicea, presieduto da Costantino I (si vede immagine in basso a sinistra con i Padri del Primo Concilio di Nicea che mostrano il Credo, al centro l'Imperatore), in poi, il clero, gli uomini a lui votati, costruirono prima una religione, fatta di moniti e regole di comportamento derivati dalla parola di Gesù, eleggendo l’agonia dello stesso come simbolo più alto del loro credo, poi uno Stato con il suo re, la sua corte, il suo popolo, il suo esercito e le sue terre, in Europa, in Italia, a Roma. Perché il culto di Gesù, ebreo, si spostò proprio in Roma eleggendola come capitale? Quando Gesù disse la frase: “Su questa pietra costruirai la mia chiesa” specificò un luogo? E Pietro dopo aver gironzolato per il medioriente con sempre alle calcagna i romani pronti a fargli la pelle, perché scappando si rifugiò proprio a Roma (dove Nerone gli fece la pelle)? Era un problema politico o semplicemente un’attrazione fatale verso la città eterna? I vangeli e gl'atti degli apostoli non specificano nulla in merito e naturalmente non è un problema che si sono posti i credenti, certo è che la Chiesa Romana Cattolica, una volta legittimata con l'Editto di Milano, non si limitò a dirigere un culto ma creò, come detto, uno Stato, con l’accordo delle autorità imperiali, e si scagliò anche contro tutto ciò che aveva intorno e che poteva, anche solo lontanamente, nuocerle: prima le eresie, poi lo scisma dalla chiesa ortodossa, infine la perenne lotta contro Islam (le crociate cristiane, la guerra santa dell’islam).
Ecco quindi che Gesù in croce diviene "il crocifisso" ovvero il simbolo, di nuovo lui, di un modo di credere ed anche di un potere. L’uomo Gesù inchiodato alla croce, la sua presunta natura umana e divina, la sua agonia sono il simbolo della religione cattolica e del suo predominio sull’Europa iniziato e continuamente cresciuto dopo i fatti appena accennati.
Ora, dopo secoli, qualcuno intende chiamare tradizione la credenza religiosa derivata dai poco chiari fatti appena descritti. Evitando di affondare ulteriormente il dito nella piaga (mai metafora fu più azzeccata) atteniamoci alla linea etimologica fin qui tenuta cercando di chiarire cosa significa la parola tradizione, dato che il suo significato può essere vario, anche a seconda dei campi in cui lo si applica: la parola deriva dal latino traditiònem a sua volta derivante da tràdere = consegnare, trasmettere. Tradizione è ciò che noi riceviamo e trasmettiamo. Ma il termine tradizione è anche inteso come consuetudine ed anche se i due significati possono essere in relazione la loro fondamentale differenza sta nell'attivismo della trasmissione e nel passivismo di quest'ultima. Trasmettere infatti presuppone un'azione, il recepimento di qualcosa che a sua volta deve essere portato da un soggetto attivo verso un'altro soggetto affinché lo stesso lo recepisca ed effettui la stessa azione in processo che può durare all'infinito, fino a quando perlomeno in questo circolo virtuoso non si inserisce un soggetto passivo, ed il concetto di attivo poi è importante in quanto il soggetto che trasmette non è semplice trasportatore ma è implicato anche in un processo di azione diretta sul soggetto trasportato. La consuetudine invece è passiva, è l'accettazione e la messa in pratica di stilemi prestabiliti, non prevede attività di sorta se non quella del ricevere, acriticamente, e necessità di simboli che leghi i soggetti che praticano la consuetudine a coloro che ne decidono la sostanza.
Si potrà ben intuire come la Religione Cristiano Cattolica, come tutte le religioni del resto, sia un tipo di tradizione consuetudinaria, coloro che la praticano non devono ne pensare ne decidere a loro è solo richiesto di credere e quindi di ricevere. Resta solo da capire se in Europa esiste anche una tradizione che si rifà al significato primo della parola stessa, al concetto ciò di trasmissione attiva. Naturalmente c'è ed è ben più antica e profonda rispetto a qualsiasi religione moderna, diffusa in Europa o meno, ed è il razionalismo. Il razionalismo (dal termine latino ratio, "ragione") è una corrente filosofica basata sulla tesi che la ragione umana può in principio essere la fonte di ogni conoscenza (cit. wikipedia.it). La sua origine risale sin ai tempi dei filosofi ellenici: Talete di Mileto, ad esempio, studiò le proporzioni fra le grandezze geometriche ed astronomiche ed iniziò a portare questo modo razionale di pensare anche in campo filosofico (cit.: wikipedia.it). Ma anche Pitagora, sempre intorno al VI a.c. intuì che attraverso i numeri era possbile spiegare una moltitudine di cose.
Fu però con la scuola di Atene che il razionalismo prese la sua forma concreta. C'è un bellissimo affresco di Raffaello nei palazzi Vaticani, in esso è raffigurata una grande scena con all'interno molti filosofi e matematici: Eraclito, Euclide, Pitagora, etc; al centro Platone ed Aristotele.


"Platone, dipinto con le sembianze di Leonardo da Vinci, regge in mano la sua opera Timeo ed indica il cielo con un dito (indicando l'iperuranio, zona d'essere oltre il cielo dove risiedono le idee), mentre Aristotele regge l'Etica e rivolge il palmo della mano verso terra rivolgendosi al mondo terreno e alla volontà dell'uomo di studiare il mondo della natura e di essere in contatto con essa." (fonte wikipedia.it)
Platone ci parla dell'iperuranio, dell'irrazionale, della nascita del pensiero in un luogo lontano da noi e, forse, vicino ad un dio, Aristotele invece ci parla di razionalità, di scienza, della capacità infinita dell'intelletto umano.
Forse in quel momento storico, così ben riportato da Raffaello, nacque il Razionalismo che divenne a breve "tradizione" nel primo significato che abbiamo dato. I razionalisti infatti, durante tutti i secoli sino a noi, tramandarono le loro teorie, studiarono e svilupparono le loro capacità in centinaia di campi diversi, per la maggior parte molto utili all'uomo, dalla matematica alla medicina, dalla geometria all'arte, dalla biologia all'ingegneria meccanica ed elettronica.
Personalità che hanno dato un veemente sviluppo alla Storia dell'uomo si sono susseguite nei secoli da Aristotele in poi, i filosofi come Bacone, Hobbes, Leibniz, Spinoza, Montesquieu, Voltaire, Kant, scienziati ed artisti come Michelangelo, Leonardo da Vinci, Galileo Galilei, Cartesio, Newton sino ad arrivare a Popper.
Questa è la vera tradizione Europea, ed è grazie a questi campioni della mente che, insieme a centinaia di altri che per motivi di spazio non posso enunciare, hanno posto i loro neuroni al servizio della conoscenza ed hanno tramandato la loro filosofia e le loro scoperte anche mettendo a repentaglio la loro vita (Galileo Galilei vi dice qualcosa?) se oggi noi europei, credenti o meno, ce ne andiamo in giro nella nostra bella macchinina con l'aria condizionata, se parliamo con un tizio dall'altra parte del mondo camminando per strada con un aggeggio in mano, se io seduto nel mio ufficio batto le dita su dei piccoli pezzetti di plastica appoggiati su un grande pezzetto di plastica a cui attaccato un filo che si attacca chissà dove e, come per incanto, le parole che ho in mente schizzano in tutto il mondo e chiunque ora può leggere, e scoprire, che sto parlando contro il crocifisso nelle scuole e che tutto questo lungo preambolo era funzionale al concetto espresso così all'improvviso.
Leggete bene, non contro il crocifisso, ma contro il crocifisso nelle scuole.
E se non vi è chiaro il perché ve lo paleso: come appena spiegato non è vero che la nostra tradizione Europea è cattolica ma bensì razionalistica e non vi è luogo più adatto alla consacrazione di essa se non proprio nella scuola dove vanno banditi tutti i simboli religiosi ed appesi alle pareti le gigantografie dei premi Nobel, la foto di squadra degli scienziati del Cern, degli scrittori, dei matematici e, visti i tempi, degli informatici che hanno cambiato la nostra era.
Tutto il resto è consuetudine, che non va studiata e quindi il suo luogo non è la scuola, ma assorbita da coloro che ne sento il bisogno, la necessità o che semplicemente lo credono giusto.

La Scuola è il luogo dove deve trionfare la ragione e non l'irrazionale.

martedì 17 novembre 2009

Il canto degli Italiani

La nostra bella Italia non si smentisce mai. Quando penso al mio paese lo faccio sempre con un misto di orgoglio e rabbia, certe volte vorrei andarmene per sempre, lasciarmi alle spalle tutto il male che attraversa lo stivale ma ho paura che, dopo poco, ne avrei una nostalgia mortale (dello stivale non del male). In fondo tutto ciò che mi sconforta è questo continuo senso di precarietà. Perchè "poche regole ma ferme" detto in Italia pare una bestemmia sul sagrato di San Pietro. Non abbiamo punti di riferimento e tutto ciò che è potrebbe non essere più e viceversa. Tutto è provvisorio e lo era perfino il nostro inno, divenuto ufficiale solo il 17 Novembre di quattro anni fa. Il "Canto degli Italiani" meglio noto come l'Inno di Mameli o Fratelli d'Italia (che è un pò come chiamare "Respiri piano per non far rumore" "Albachiara" di Vasco Rossi) fu scritto da Goffredo Mameli e musicato da Michele Novaro nel 1847. E' un inno risorgimentale creato quando l'Italia era ancora divisa e vessata dall'impero austroungarico; può suonare retorico, bellicoso in alcune sue parti, poco adatto alla nuova condizione di Italia unita, che poi era il fine ultimo dello stesso, ma fu adottato il 12 Ottobre 1946 come inno del novello Stato Italiano ma provvisorio tant'è che nessun articolo della costituzione ne ha mai parlato, ed è rimasto tale sino al 2005.
Per più di cinquant'anni ci siamo presentati in giro per il mondo alle cerimonie, alle parate, alle partite delle nazionali, alle cermonie di consegna meglie olimpiche e non, con il nostro bell'inno, perchè chi lo definisce una fiacca marcetta è un idiota, che però non era mai stato ne ufficilizzato tanto meno legittimato. Si pensi che dal 1970 ogni esecuzione dell'inno nazionale dovrebbe essere accompagnata da quella dell'inno europeo, l'Inno alla gioia della Nona sinfonia di Beethoven, in carica ed ufficiale da anni, a differenza del nostro.
Forse questa fatto dice molto, molto più di quanto possiamo pensare, di come siamo noi Italiani, di come abbiamo fatto l'Italia e di come, forse, saremo. Belli ed incompleti, destinati a farci freagare sempre dal primo piazzista che passa per strada perchè incapaci di avere punti di riferimento anche solo minimi e di mera rappresentanza. Ed il "Canto degli Italiani", ora che è ufficiale da qualche anno, pare più un canto del cigno degli italiani e le sue parole così cariche di intenzioni, di carattere, di appartenenza suonano goffe e grottesche, buone giusto per uno spot.


Tomba di Goffredo Mameli presso Cimitero Comunale Monumentale Campo Verano - Roma

Fonti: wikipedia.it; www.quirinale.it

venerdì 13 novembre 2009

Chi inventò il World Wide Web rifiutò i profitti

E' storia risaputa che il World Wide Web ovvero uno dei servizi più utilizzati, insieme alla posta elettronica, di internet è nato il 6 agosto 1991, giorno in cui l'informatico inglese Tim Berners-Lee, in servizio permanente effettivo presso il Cern (Conseil Européen pour la Recherche Nucléaire) di Ginevra, il più importante laboratorio di fisica europeo, lanciò definitvamente il servizio di interscambio dati tra due server tramite una telefonata. L'idea era nata qualche anno prima pubblicò il primo sito web dando così vita al fenomeno della tripla W. L'idea era nata un paio d'anni prima nel Marzo del 1989 quando lo stesso Tim presentò un progetto per l'interscambio di informazioni, veloce e pratico, tra scienziati. Il progetto fu valutato interessante e poi successe quello che ben sappiamo.

Ma non tutti però sanno che il Cern, il 30 aprile 1993, ha deciso di mettere il WWW a disposizione del pubblico rinunciando ad ogni diritto d'autore.

Forse adesso coloro che lavorano presso il Cern staranno pensando di quali profitti si sono privati, staranno pensando ai soldi che fanno i magnati del porno, le società di telecomunicazioni, i vari google, micorsoft, yahoo, facebook, ebay. Fiumi di denaro si sono riversati su tutti tranne che su loro, nemmeno una targa o un nome su una via.

Oppure staranno pensando che, grazie alla loro scelta, hanno impresso la più grande accelerazione al processo evolutivo dell'uomo. Sono passati poco meno di vent'anni dalla prima pagina scritta sul world wide web ed ora questo strumento, nel bene e nel male, è parte integrante della nostra vita. Lo usiamo al lavoro, nel tempo libero, per cercare informazioni, per prenotarci la vacanza, per comunicare con gl'amici, per ridere, per eccitarsi o svagarsi, per trovare. Ed anche se il 90% del mondo internet è perfettamente inutile ai fini evolutivi, quel 10% basta ed avanza per cambiare il mondo sotto i nostri occhi. Solo dieci anni fa se un mio amico fosse andato a vivere in Brasile l'avrei perso di vista per sempre o ci sarebbe rimasta la corrispondenza epistolare. Ora con lui mi scrivo, mi parlo, ci scambiamo foto, impressioni, opinioni, sia che sia in ufficio, a casa o chissà dove. La ragnatela del WWW è ormai dovunque ed il suo sviluppo così rapido, ed il contestuale sviluppo del mondo, lo dobbiamo solo alle persone che hanno anteposto gli ideali ai guadagni.
Gente talmente rara ma per fortuna esistente, se no chissà dove andremmo a finire.
La prima pagine del World Wide Web

Fonti: wikipedia.it

mercoledì 11 novembre 2009

I martiri di Chicago

Il primo maggio nel 1886 non era ancora la Festa dei lavoratori, ma quel giorno i sindacati americani avevano organizzato a Chicago uno sciopero per rivendicare la giornata lavorativa di otto ore, battaglia vinta e di cui abbiamo beneficiato... fino a poco tempo fa. Due giorni dopo, il 3 maggio, lo sciopero non era ancora terminato e gli scioperanti si incontrarono di fronte alla fabbrica di mietitrici McCormick. Lì vennero attaccati senza preavviso dalla polizia di Chicago, le conseguenze furono: due morti e molti feriti. La notizia si diffuse rapidamente tra gli operai della città, tanto che alcuni anarchici locali distribuirono dei volantini che invitavano gli operai ad un presidio ad Haymarket Square per protestare contro il comportamento della polizia, a loro giudizio mosso da interessi, invitando i lavoratori a chiedere giustizia.
Ed il presidio ci fu in Haymarket Square, sotto la pioggia, il 4 maggio 1886, con l'anarchico August Spies che parlava alla gran folla da un carro al lato della strada. Naturalmente c'erano pure i poliziotti a presidio. Sono contrastanti le versioni che da questo punto del racconto in poi si intrecciano, qualcuno dice che Spies, l'oratore, incitò troppo veementemente la folla, qualcuno parla di volantini con scritte reazionarie, qualcuno parla di semplice iniziativa della Polizia, si sa solo che la stessa ordinò alla folla di disperdersi, cominciando a marciare in formazione verso il carro degli oratori. In quel momento una bomba volò contro la linea dei poliziotti, atterrando vicino al poliziotto Mathias J. Degan, che morì sul colpo. A quel punto la polizia aprì il fuoco sulla folla, ferendo dozzine di persone e uccidendone undici, fra cui sette agenti colpiti dal fuoco amico. Molte persone rifiutarono di farsi curare in ospedale per non incappare in un arresto ed in una ritorsione della polizia.
Otto persone collegate direttamente o indirettamente con la protesta e i suoi organizzatori anarchici furono accusati della morte di Degan: August Spies, Albert Parsons, Adolph Fischer, George Engel, Louis Lingg, Michael Schwab, Samuel Fielden e Oscar Neebe. Ci fu il processo.
Durante lo stesso non fu portata alcuna prova del collegamento tra gli imputati e il lancio della bomba, ma gli stessi vennero accusati di connivenza ovvero di aver incitato un fantomatico assassino a buttare la bomba.
La giuria emise verdetti di colpevolezza per tutti e otto gli imputati, con condanna a morte per sette di loro.
Alla conclusione dei processi d'appello il governatore dell'Illinois Richard James Oglesby commutò le sentenze capitali di Fielden e Schwab in ergastolo.
Alla vigilia dell'esecuzione Lingg si suicidò nella sua cella accendendosi un sigaro pieno di dinamite e facendosi letteralmente esplodere il volto. Agonizzò per diverse ore prima di morire. Gl'altri quattro, Spies, Parsons, Fischer, e Engel vennero impiccati l'undici maggio 1887 (oggi ricorre l'anniversario), un anno dopo i fatti di Haymarket Square. August Spies, prima di essere ucciso, pronunciò la celebre frase "verrà il giorno in cui il nostro silenzio sarà più forte delle voci che strangolate oggi".

Il 26 giugno 1893 il governatore dell'Illinois firmò i provvedimenti di grazia per Fielden, Neebe e Schwab, dopo aver constatato l'innocenza di tutti e otto gli imputati. I cinque martiri di Chicago però erano già morti.
Il comandante di polizia che ordinò di disperdere la folla fu in seguito condannato per corruzione.

Explosion that set off the Haymarket Riot in 1886
Fonti: Wikipedia.it; vari siti anarchici.

lunedì 9 novembre 2009

Berlino 18 anni dopo la prima visita

Ci sono stato cinque volte a Berlino.
La prima ero poco più che un adolescente era il 1991, all'inizio credo, e la città era da poco più di un anno di nuovo unita. Arrivammo a Berlino da Norimberga, percorrendo la ex DDR su una strada semi deserta, senza case ai lati e lastricata di cemento. In città si respirava un'atmosfera strana. Le strade dell'ovest, dove dormivamo, erano luccicanti di vetrine e la gente camminava a frotte per strada lungo il Kudam', la via principale della Berlino ovest anni '80. Vidi anche le prime prostitute della mia vita che, mischiate alla folla, adescavano gl'adulti alla luce del giorno, per usare un eufemismo in realtà era sera. L'Ovest, ovviamente, non mi colpì. Lì Berlino era una qualsiasi città delle nostre parti, con l'aggravante di non essere gran che. Tranne la Chiesa della memoria la Gedächtniskirche, di cui per altro rimane ben poco, contro bilanciata da una chiesa moderna a fianco, non vi era nulla che valesse la pena di uno sguardo. Solo il muro era l'attrazione, era ancora in piedi e lo si poteva toccare. Quando lo vidi la prima volta, arrivando dal Tiertgarten, con la porta di Brandeburgo che lasciava intravedere l'Est mi colpì la desolazione. Berlino era una città piegata dalla storia e triste. Sembrava un vecchio nudo che sostiene, con l'ultimo slancio di dignità rimastogli, lo sguardo delle persone presenti. L'Est invece mi colpì perché di colpo la storia, che si era materializzata di fronte al muro, mi si catapultò addosso. Ricordo che percorremmo in pullman l'Under der Linden, il viale dei tigli, nella desolazione e nell'abbandono più totale, arrivammo davanti al palazzo della Repubblica, abbattuto di recente, con di fronte il Duomo di Berlino e l'isola dei musei, a pochi passi Babel platz, dove i nazisti bruciarono i libri. I fantasmi delle ideologie erano ancora lì ed io non me ne resi completamente conto.
La desolazione era ovviamente frutto della fuga dei russi, in realtà, lo scoprii più tardi, durante la DDR la popolazione non viveva male se non fosse stato per quel "piccolo" problema di limitazione della libertà personale. Lo dimostra il fatto che una volta superato il muro, il 9 Novembre 1898, molta gente non fece altro che ritornarsene a casa perché nell'occidente non sapevano che fare e nondimeno oggi molte persone dell'Est rivorrebbero la DDR convinte che il capitalismo abbia introdotto un nuovo regime fatto solo di debiti e vizi, quello che volevano i cittadini dell'Est era la libertà ed a loro fu data solo quella di comprare, se avevano i soldi.
Il mio passaggio ad est fu comunque fulminante, per la prima volta nella mia vita vedevo non una bella città, non una serie di palazzi o musei, ma toccavo con mano la storia vissuta che con l'esteticamente bello, spesso, a poco a che fare, i miei occhi vedevano un paese non occidentale, diverso quasi affascinante.
In ultima istanza intuii anche che Berlino ed i berlinesi erano strani, percorsi da una linfa vitale che non si riscontra in nessun altro luogo in Europa, dove viviamo la nostra vita beandoci di ciò che abbiamo e senza avere troppi grilli nella testa in merito a faccende quali "creare" o "inventare". La conferma avvenne anni dopo.

Tornai a Berlino nel 1999, un mio amico pianista suonava per la prima volta in Berlino, ed io lo segui sull'onda dei ricordi del 1991. Trovai un cantiere a cielo aperto. Alloggiavo sempre ad ovest, lungo il Kudam'. Berlino Ovest era sempre Berlino Ovest ed il Kudam' sempre il Kudam'. Palazzi sbertuccianti, molta gente per la strada e le prostitute dopo le nove di sera. Non era cambiato nulla. Quando mi avvicinai al muro invece, in prossimità di Potzdammer Platz, mi accorsi che le cose stavano cambiando. Il simbolo della divisione tra blocchi non c'era più, ne rimanevano pochi tratti a macchia di leopardo. Der Mauer era diventato un'attrazione turistica. Il nuovo centro di Berlino venne progettato sulle ceneri della zona della divisione e stava nascendo sotto l'egida dei grandi capitali e dei grandi progetti. Renzo Piano disegnò un volto ultra moderno e futuribile. Ma Berlino non stava cambiando solo lì, tutto l'est doveva rifarsi il trucco per presentarsi all'occidente come un luogo degno dello stesso e lo fece. Passeggiai a lungo per i luoghi della ricostruzione e fortunatamente in compagnia di un architetto che mi spiego il senso di alcune opere, che a mio avviso apparivano solo quali eco-mostri. Con lui capii molte cose alcune delle quali mi vennero confermate solo più tardi. Ad esempio ho di recente avuto conferma che i palazzi di Piano, presso Potzdammer Platz, ricalcano vecchi progetti di artisti Bauhaus oppure che molti palazzi della Friedrichstraße, la strada che nel '91 aveva solo palazzi grigi con le assi alle finestre, furono ricostruiti sul modello dei palazzi che vi erano ad inizio '900 violentati dal Terzo Reich, dai bombardamenti russo/americani e dalla DDR. Insomma Berlino, dopo la sbornia della riunificazione, stava lavorando per ridiventare la capitale, della Germania ma anche dell'Europa, economica ma anche culturale. Se Berlino infatti, durante gl'anni della divisione, aveva mantenuto il gusto per l'arte, mai fine a se stessa, ma sempre in movimento, men che meno lo perse dopo. Nel '99 le gallerie d'arte moderna spuntavano come funghi, le installazioni per le strade erano già all'ordine del giorno ed i concerti, solo di musica classica, erano una ventina a sera, senza contare che Berlino era ed è pure la capitale della musica tecno.
L'effervescenza intuita nel '91 si palesò otto anni dopo.

Qualche anno dopo, ma non riesco ha ricordare chiaramente se ne 2002 o 2003, in occasione di un concerto Konzerthaus dell'amico pianista di cui sopra, che nel frattempo faceva carriera, con un amico sbarco, per la terza volta, a Berlino, dopo un viaggio eroico attraverso Austria, con bufera di neve, e Germania. Quei giorni furono strani perché entrammo a contatto con l'ambiente bohémien Berlinese fatto di artisti e pazzi, persone che dialogano di spartiti e mangiano indiano, filosofi che vorrebbero farsi picchiare dalla consorte e ragazze che parlano cinque lingue come io parlo l'italiano. Vidi in quei giorni in Berlino una città da vivere. Non più la città divisa, non più la città che rinasce, ma la città com'era prima che la storia la travolgesse, con uno sguardo malinconico al suo passato, i piedi fermamente ancorati al suo presente e la mente già rivolta al futuro. Ricordo che in quei giorni entrai a Kreuzberg, il quartiere turco/multietnico per la prima volta, precedentemente ero sempre rimasto ai margini, e vidi la potenza esplosiva della multiculturalità, in voga anche a Londra per carità e per certi versi anche a Parigi, sia nel bene che nel male. Anche lì fu una folgorazione per me giovane ragazzo italiano di provincia, l'Italia è tuta una provincia, vedere ciò che, con lentezza e mille polemiche, sarebbe inevitabilmente successo da noi. I berlinesi già lo sapevano ed attuavano già allora ciò che qui in Italia era impossibile. A parte questa dissertazione in chiave antropologica folleggiare lungo le strade del Mitte e dei quartieri emergenti, senza comportarmi da turista, senza fotografare ogni angolo, statua, palazzo, comportarmi quasi come fossi un berlinese, mi diede una felicità strana, quasi che fossi partecipe della cultura della città, quasi che la stessa mi instillasse un po' della sua linfa, di cui ho parlato prima, nelle mie vene.

Passano solo cinque o sei anni e nel 2008 torno, nuovamente, a Berlino con un comodo viaggio in aereo, niente più viaggi al limite dell'umano, con una compagnia di amici, che mi usano (si fa per dire) come guida turistica. Questa volta la sistemazione è ad Est in una casa che pare il covo della Stasi a Prenzaluenberg. Mi immergo nei luoghi classici di Berlino, con la possibilità rara, di poter rivedere con altre occhi i musei ed i monumenti classici di Berlino visti per la prima volta sedici anni prima. Il Reichstag, la Porta di Branderburgo, Il Pergamon, la Colonna della Vittoria, cerchiamo di vedere il più possibile ma il tempo è limitato e tralasciamo molto, che integrerò l'anno successivo. In quei giorni la città mi è apparsa più serena, meno tesa, anche se con i segni della ricostruzione erano ancora ben evidenti. Del Palazzo della DDR, che vidi la prima volta nel '91, oramai rasato al suolo stavano per essere macinati anche gli ultimi resti ed i ricordi di questa nazione nata dalle follie della seconda guerra mondiale relegati in piccolo museo ai bordi dell'isola dei musei. La faccenda può sembrare malinconica ma i berlinesi sanno guardare avanti, senza rimorsi.
Berlino 19-24 11 2008


Ed eccoci nell'anno 2009, quello della mia quinta volta a Berlino, mentre invecchio Berlino ringiovanisce. Al posto del palazzo della DDR c'è un prato e la casa di Preazlauenberg dove alloggiavo nel 2008 e dove sono stato anche quest'ultima volta è attorniata da cantieri. Spero vivamente che la tengano così, è uno dei sempre più rari esempi di palazzo berlinese della Berlino Est.
In questa ultima, per il momento visita, finisco ciò che era rimasto incompiuto nel 2008 (Gemaldegallerie, Bauhaus, Museo Ebraico, Wansee) e mi immergo nella città ed anche nel quartiere dove alloggio riscoprendo i colori di Berlino grazie anche al sole che nelle altre visite era stato sempre un po’ latitante. Sì perché può sembrare starno ma Berlino è anche la città dei colori. Colori sulle case, colori nei murales giganteschi, colori nei vestiti, sulle auto, nei locali. Il colore libero e fantasioso è la regola che poi ribadisce quanto già detto sul "modus vivendi" berlinese eccentrico ed estroverso. Ed infatti Berlino è la città dell'aria aperta: mercatini all'aria aperta, birrerie all'aria aperta, parchi ovunque e gente che esce e passeggia o gira in bicicletta (potete acquistarne una a 50 euro all'inizio della vacanza e rivenderla alla fine della stessa al mercatino di Prenzaluenberg) sembra di trovarsi a contatto con una società pretelevisiva. Il sole ha illuminato una Berlino ancora diversa e più calorosa delle altre volte. Se ci penso bene poi non sono mai stato in estate in questa città e forse è stato un errore, avrei dovuto sapere che Berlino sarebbe potuta cambiare anche con un solo raggio di sole.
Berlino 09

lunedì 26 ottobre 2009

Bersani il "nuovo" che avanza

Il Capitano Coraggioso Bersani, Dalemiano D.O.C., è il nuovo presidente del Pd.
Domanda: ma allearsi direttamente col PDL e piantarla con le manfrine?
Silvio accoglierebbe i figli di Occhetto a braccia aperte così potrebbe giustificare il 70% che spaccia (46% PDL e Lega più 36% PD ci sta dentro abbondante).
Vantaggi molti: posto assicurato in parlamento (non come quel coglione disokkupato di Bertinoti); niente figure di merda pre e post elettorali; zero sbatti per fare finta opposizione; troie, trans, coca e immunità assicurate.
Svantaggi pochi anzi uno: qualche italiano potrebbe prendersela male.
Niente paura: qualche monito, un paio di omicidi efferati, un pò di scontri allo stadio, tette, culi e tronisti a profusione dovrebbero bastare.
Se non basta c'è il Grande Fratello in partenza ed il prossimo Giugno ci sono i Mondiali di calcio. Entro Agosto 2010 gli Italiani non conosceranno più il significato politico della parola SINISTRA.

E adesso datemi del grillino, anarchico, antipolitico, retrogrado, populista e brigatista.

P38? Perchè no!

sabato 17 ottobre 2009

E' arrivato il generale inverno

Finalmente l'inverno, non ce la si faceva più.

Basta con la gente che gira in ciabatte, basta con le minigonne delle ragazze che non te la danno, basta le ascelle pezzate, l'umidità, le mosche e le zanzare, basta con le famiglie a passeggio la sera, le partite dopo le tre del pomeriggio, il caldo infernale della macchina parcheggiata al sole, basta basta basta, non se ne può più è durato troppo.

Benvenuto Inverno, benvenuto cappotto, benvenuti salame e marubini, benvenuta ora legale, benvenuto camino acceso, benvenuta nebbia che tieni lontano dai locali e dalle strade notturne le famiglie ed i nerds/fighetti, benvenute partite appena dopo mangiato, benvenuti polenta e cinghiale e grazie di essere tornati.

giovedì 15 ottobre 2009

Silvio candidato al premio Nobel per la pcae 2010

Vedere per credere!
http://silvioperilnobel.sitonline.it/



ps: ho le lacrime dal ridere, ma come farei senza di lui...
ps2: il Dalai Lama candidato al telegatto

martedì 13 ottobre 2009

Rassegna stampa: Martedì 13 Ottobre 2009

Il giorno di ordinaria schizzofrenia mondiale mediatica, a cui siamo oramai abituati, è cominciato da poco ma le notizie già rimbalzano dappertutto: bit, fogli di giornale, onde si muovono vorticando, la danza della notizia è cominciata.

La Babele di notizie è lo specchio fedele di un mondo allucinato. Prima reasegna stampa di Campari e Nebbia

Martedì 13 Ottobre 2009

Notizie dall'Italia
La notizia da prima pagina di oggi è che il libico che voleva far saltare la caserma di Milano "Santa Barbara" (mai nome fu più azzeccato) aveva cento kili di esplosivo in salotto, al posto della credenza, ma poi leggiamo bene e scopriamo che è nitrato di ammonio, una sostanza usata come feritilizzante, come ghiccio istantaneo (a contatto con l'acqua) e, in alcuni casi come questo, come esplosivo. Sono finiti i tempi della nitroglicerina ora per far saltare in aria chi ci sta sulle balle basta che andiamo dal contadino o dal massaggiatore, con buona pace dei produttori di armi. Sia chiaro il risultato non è sempre assicurato ma vuoi mettere la convenienza?
Ma la vera notizia di giornata in Italia è l'arresto a Taranto di un barista veneto autoproclamatosi "Governatore della Banca Padana". Questo genio, nessuna ironia, aveva introdotto come moneta unica nel suo Bar la LIRA PADANA da lui stampata, essendo Governatore. Rimane solo il dubbio di come se la cavasse col cambio, forse è per quello che l'anno beccato. Una caduta di stile il suo arresto alla stazione di Taranto, l'avrei visto meglio in qualche terra celtica mentre, accerchiato dai polizziotti dell'interpool, vestito come Braveheart roteava la spada urlando:"metterete in prigione me ma non la libertà" o frasi insurrezionalpadane simili.
Per il resto vi sono le solite quisquiglie: Il governatore della Banca d'Italia Draghi che ci dice che per avere "prestazioni di livello adeguato" ovvero nonsisachecosa dobbiamo lavorare più a lungo e andare in pensione chissà quando, poi ci sono i soliti deliri del centro destra e le solite baruffe del centrosinistra, tristi notizie stantie.

Notizie dall'Europa
I vanagloriosi figli della perfida Albione, da cui il Duce percepiva cento sterline mese per far casino in Italia alla maniera dei centri sociali dei giorni nostri, si è scoperto che in gran segreto vengono ad abitare sul continente e tutto per una scarsa qualità della vita. Che delusione, dov'è finito l'orgoglio all'ingelse, ci manca solo che vengano a suonarmi alla porta chiedendomi del lavoro. Ma gli spagnoli fanno meglio, si lamentano di noi. Si sono sempre bullati della fiesta della loro movida e adesso se la prendono per qualche ubriaco che canta e qualche incontinente che piscia per strada. I tedeschi invece paiono colti da una crisi esistenziale loro così severi, così precisi, così, in una sola parola, tedeschi si lasciano andare a pericolose proteste e rinverdiscono i fasti del terzo reich con performance artistiche in sala Disney. E' il segnale che qualcosa sta cambiando. Il Belgio infine si dimostra un ricettacolo di perversioni ed insane tendenze, una donna belga che ha dichiarato di vivere con un maiale e non sto intendendo un vecchio porco ma un suino vero e proprio. I vicini, quei borghesi, non vogliono ma lei non ci sta e dichiara battaglia. Azz.

Notizie dal Mondo
Obama attapirato perchè hanno scoperto che ha inviato 13000 soldati in Afghanistan appena dopo essere stato insignito del premio Nobel per la PACE se la prende con Merdoch, pardòn, Mardock (Berlusconi docet). La Cina bacchetta Obama con la miglior battuta del mese e nel frattempo scopre i piaceri della prostituzione, messa in piega con pettinatura a schiaffo e sufflone reale. Però. Premio pirla della giornata al gommista Cambogiano che ha gonfiato il figlio per scherzo, le autorità non interverranno contro l'autore dello scellerato gesto, pare infatti che in Cambogia non esista una legge contro la stupidità e, per quel che ne so, nemmeno da noi.

martedì 6 ottobre 2009

Niente più libertà di stampa



"Ognuno è fabbro delle sue sconfitte ognuno merita il suo destino"
F. De Gregori

venerdì 25 settembre 2009

Nucleare

Per parlare, male, del nucleare voglio raccontare una storia molto conosciuta, non nei minimi particolari purtroppo, avvenuta 23 anni fa esattamente il 26 aprile 1986 nell’Ucraina settentrionale e nello specifico in una località che sarebbe divenuta, dai giorni del racconto in poi, nota in tutto il mondo, tristemente nota perché quella località era Cernobyl.
A Cernobyl quel 26 aprile era passata la mezzanotte da poco più di un’ora e si può immaginare che fosse una notte tranquilla, senza vento, buia, senza rumori. Solo i macchinari del della centrale nucleare V.I. Lenin funzionavano con ritmo maniacale producendo energia per soddisfare le esigenze delle Repubbliche dell’Unione Sovietica. In particolare vi era un certo fermento, di uomini e macchinari, presso il reattore 4. Era in corso un test di sicurezza.
Dormivano tranquilli, quella notte, gli abitanti di Cerbnobyl e dintorni, circa trecentomila, con la sicurezza e la tranquillità fatalistica di chi non ha nulla da perdere. Non era una zona ricca quella, era terra di minatori, operai e contadini, gente abituata a lavorare duro per un pezzo di pane e dormire sodo la notte, magari con l’aiuto di qualche goccio di vodka per riscaldare le vene raggrinzite dal freddo persistente.
Nessuno di loro, alle ore una e ventidue del 26 Aprile 1986 , sognava o immaginava che la sua vita sarebbe cambiata radicalmente, che sarebbe divenuto tristemente famoso, che il suo corpo sarebbe stato corrotto e con lui quello dei suoi futuri figli, che la sua terra sarebbe stata violentata, che il suo futuro sarebbe stato avvelenato. Dormivano tranquilli, era da poco passata la mezzanotte ed era appena iniziato, a Cernobyl, quello che sarebbe stato il giorno più lungo della città.
Il momento in cui il disco di copertura, dal peso di oltre duemila tonnellate, del reattore 4, quello dove si stava effettuando un test di sicurezza, volo via come un frisby segnò il punto di non ritorno, erano le ore una e ventitre. Il boato dovette essere terrificante, chi l’ha udito non lo può certo descrivere, e l’aria si fece subito incandescente. La discesa della china per gl’abitanti dei dintorni era iniziata.
Morirono subito due operai della centrale, coinvolti e travolti, dalle reazioni chimiche a catena che si susseguirono partendo dal surriscaldamento del nocciolo, che a sua volta surriscaldò l’acqua dell’impianto di raffreddamento portandola a temperature elevatissime che spinsero la pressione di vapore a livello esplosivo, poi si innescarono reazioni fra le sostanze chimiche contenute (acqua e metalli), inclusa la scissione dell'acqua in ossigeno e idrogeno per effetto delle temperature raggiunte, il tutto contribuì a sviluppare grandi volumi di gas. Ovviamente il primo bilancio, visto ciò che era accaduto, fu decisamente buono, pur con tutto il rispetto per le due vite umane, ma purtroppo la faccenda non finì lì. La squadra di soccorso, capitanata dal tenente Vladimir Pravik, si portò subito sul luogo del disastro, con il comando di spegnere un incendio causato da un corto circuito. Nessuno li aveva informati della tossicità dei fumi e del materiale caduto dopo l'esplosione nell'area circostante la centrale. Pravik ed i suoi ragazzi lavorarono sodo tutta la notte e già alle 5:00 del mattino, meno di quattro ore dopo la fusione del nocciolo, alcuni incendi sul tetto e attorno all'area erano stati estinti. Pravik morì il 9 maggio 1986, 13 giorni dopo l'esplosione e così morirono tutti gl’altri vigili del fuoco in azione la mattina del 26 aprile 1986.
Nessuno però nel mondo seppe nulla per tutta giornata del 26, mentre elicotteri russi, di gran carriera, scaricavano materiali inerti per cercare di spegnere la palla di fuoco del nocciolo che ardeva al centro del disastro. Solo la mattina del 27 aprile, per un fortuito caso, successe che in una centrale nucleare, a Forsmark in Svezia, scattò l'allarme ai rivelatori di radioattività. Subito gli scandinavi , visto l'elevato livello dei dati, supposero, preoccupati, che vi fosse una falla all'interno della centrale ma i risultati furono negativi. Fu allora che cominciarono a cercare altrove la fonte delle radiazioni e giunsero così fino in Unione Sovietica. Dapprima il governo sovietico sminuì la cosa ma ormai gli svedesi, con i loro controlli, avevano messo al corrente l'Europa intera che un grave incidente era occorso in una centrale sovietica. Il mondo intero cominciò a fare pressione e finalmente rilasciarono le prime scarne dichiarazioni sull'incidente che fecero il giro del mondo, raggelandolo. Da quei giorni e negl’anni a venire sessant’otto persone, compresa la prima squadra di soccorritori, morirono per causa diretta delle radiazioni, in maniera lenta ed implacabile, a volte soffrendo dolori lancinanti e perdendo a poco a poco capelli, unghie, vista, udito, fertilità. Ma non solo. Tutta la zona, comprendente un bacino di sei milioni di persone, fu nei mesi a seguire sottoposta a regime di sorveglianza sanitaria dall’Organizzazione Mondiale della sanità e dai Ministeri della Sanità di Ucraina, Bielorussia e Russia. Ciò servì a monitorare ed arginare gli effetti devastanti delle radiazioni ma si stima che possano essere duecentomila i morti per tumori e leucemie direttamente collegati a quello che venne chiamato il “Disastro di Cernobyl” legando indissolubilmente il nome della città al concetto di rovina.
Di quei giorni ho vaghi ricordi: il televisore con l’immagine della nube nera che si spostava minacciosa verso l’Europa, i vademecum sui giornali (lavare molto la verdura, non bere latte), l’apprensione crescente e palpabile nei discorsi delle persone. L’Italia, ovviamente, reagì nel modo migliore che conosce: d’istinto ed in maniera scomposta. Nel giro di un anno fu imbastito un referendum, gli unici in tutta Europa, con una velocità burocratica mai vista nell’italico stivale, nemmeno ai tempi del duce. Peccato che agli italiani non fu chiesto ciò che ci si aspettava ovvero: i tre quesiti del referendum parlavano solo di abrogare interventi statali e contributi per costruzioni di centrali e di negare la possibilità, all’Enel, di partecipare alla costruzione di centrali nucleari, all’estero però. Nessuno chiese la chiusura delle centrali attive ne tantomeno di negare autorizzazioni per la costruzioni di centrali future. Era poco ma bastava per scongiurare il proliferare del nucleare in Italia, senza i soldi degli italiani nessuno si sarebbe arrischiato a creare una centrale, anche se tutti dicevano e dicono tutt’ora che sia l’unico modo per creare l’energia che ci serve.
Ora il racconto di ciò che successe a Cernobyl non ci serve a nulla visto che il nucleare è tornato di moda in Italia alla faccia di quel 60 e passa per cento degli italiani che votarono contro il nucleare e non a favore di quei tre quesiti sciacquati da qualsiasi potere impeditivo. Certo sappiamo che le centrali moderne sono più sicure della vecchia Centrale V.I. Lenin e sappiamo che l’energia nucleare ha un alta produttività rispetto alle energie cosiddette “pulite” ma tutto ciò non dovrebbe bastare. La storia ce l’ha insegnato, basta un piccolo errore umano e la conseguenza è la catastrofe. Una catastrofe che non può essere giustificata da alcuna produttività.

giovedì 24 settembre 2009

mercoledì 23 settembre 2009

Patti Smith

Il viso lungo, le braccia in continuo movimento, il copro nervoso come la musica che esce dalle casse. Patti Smith non canta convive con il suono della batteria, del basso, delle chitarre, dell’organo hammond. È in completa empatia con essi. Che carica per una ragazza di sessant’anni in viaggio sino a Cremona dal ’68, quello utopico e sciamanico che esiste solo nei nostri sogni romantici.
Patti Smith è tutto ciò che ti aspetti da un concerto rock vecchia maniera: pochi strumenti, riff ripetuti miliardi di volte, canti strascicati al limite della psichedelia. Patti Smith, che da necessariamente il meglio di se dal vivo e a contatto con la gente, qualsiasi essa sia anche quella modesta e borghese dei concerti estivi cremonesi, ti fa ritrovare la via maestra dopo che le tue orecchie hanno subito l’abuso di migliaia di ore di musica inutile in televisione, alla radio, nei locali, nei supermercati, per strada. E tu non puoi che accoglierla se non come un vecchio amico che non vedevi da tempo e con lui scambi qualche chiacchiera sul tempo che fu ripartendo dallo stesso punto in cui vi eravate lasciati tempo prima. Il sale della vita.

Cremona 11/09/09
Concerto Patty Smith

venerdì 18 settembre 2009

Tessera del tifoso...

... una cagata pazzesca.

Tessera sì, tessera no, tessera da subito, tessera dal 2010 (vedremo), tessera per tutti, tessera per pochi ed infine tessera per chi la vuole.

Ma chi se l'è inventata questa tessera? Non si sa. Qualcuno dice il governo e lo maledice, qualcuno dice l'osservatorio che è un'entità astratta creata dalla polizia che non si sa chi ci lavoro e che poteri ha, qualcuno dice le società di calcio e per estensione la Lega.
Queste ultime sono le maggiori sospettate visto che questa benedetta tessera, come si legge nei vari comunicati, la emetteranno loro e funzionerà come la Fidaty card dell'Esselunga ed i suoi relativi cloni.
Imbarazzante se si pensa che tutto questo bailamme è stato messo in campo con la scusa della violenza negli stadi ma questo "nobile" intento pare un po' accantonato se leggiamo attentamene come viene proposta la "tessera panacea di tutti mali del tifoso".
Da un articolo della Gazzetta dello Sport possiamo leggere gli inquietanti particolari del nuovo strumento: il giornalista è subito chiaro, e questo è un pregio, dicendoci che
"È uno strumento di fidelizzazione che identifica i tifosi di un club o
della Nazionale. Il rapporto che si instaura con la società sportiva è analogo a
quello che ormai il mondo commerciale pone in essere quotidianamente coi suoi
migliori clienti
"
quindi funzionerà come le famose tessere del supermercato che a fronte di miseri sconti studiano i nostri gusti e imbastiscono campagne di marketing mirato. Infatti l'articolo continua
"(la tessera, ndr)Consente di avere percorsi preferenziali all’interno degli
stadi, di avere accessi con controlli limitati, sconti su altre manifestazioni
organizzate dalle società, sconti in esercizi commerciali convenzionati o per il
merchandising, acquisto privilegiato di biglietti per le competizioni
internazionali e per i match dell’Italia, percorsi preferenziali anche in caso
di gare all’estero. Inoltre è un investimento per i club ed è
un’importante opportunità per promuovere il marchio della società tra i
tifosi
.
"
Più chiaro di così!
Ma la sicurezza, che fine ha fatto? Ovviamente un'accenno alla primigenia motivazione va fatto, se no la faccenda diviene supodoratamente spudurata, e quindi ecco un breve accenno al problema sicurezza:
"Possono avere la tessera: coloro che non sono sottoposti a Daspo, che non
abbiano avuto condanne anche in primo grado per «reati da stadio» negli ultimi 5
anni e che non abbiano misure di prevenzione tipo la sorveglianza
speciale.
"
Leggendo questa frase già si capisce che l'argomento è trattato con insufficenza, leggerezza e menefreghismo e vi spiego il perché: chi è sottoposto a DASPO non può entrare allo stadio e negargli la tessera risulta buffo e ugualmente ridicolo se la neghiamo a chi è sottoposto a regime di sorveglianza speciale la quale, cito dal sito dei Carabinieri, "ha lo scopo di consentire all'Autorità di pubblica sicurezza di vigilare sulla persona per verificare l'osservanza di tutte le prescrizioni che il Tribunale ha ritenuto opportuno imporle al fine di fronteggiarne la pericolosità: ciò per impedire o rendere comunque arduo il compimento di iniziative criminose" ed ho già detto tutto. Rimangono in pratica realmente esclusi tutti coloro che hanno avuto condanne per reati connessi allo stadio negl'ultimi cinque anni in quanto prima della tessera non avevano restrizioni di sorta.
Ma se continuiamo a leggere scopriamo che la tessera del tifoso diviene grottesca nel momento in cui:
"È necessario averla solo per entrare nel settore ospiti dello stadio. I
normali spettatori possono andare in altri settori acquistando un regolare
biglietto."
e, senza approfondire chi sono gli spettatori normali e quali gli a-normali, ribadiscono

"la tessera non è un’imposizione. Gli spettatori che non vogliono aderire al programma «tessera del tifoso» possono continuare a frequentare gli stadi acquistando un normale biglietto in settori diversi da quello riservato agli ospiti; naturalmente, in questo modo, non godranno dei privilegi derivanti della tessera."

I vantaggi, per loro, sono quelli già descritti ovvero sconti e balle varie.
Gran finale:
La tessera deve essere vissuta come un’opportunità. Dal primo gennaio 2010 sarà obbligatoria per seguire la propria squadra in trasferta, ma se si vuole comunque decidere di far parte di un «club» di privilegiati, la tessera sarà utile anche per acquistare senza dover fare le file ai botteghini i biglietti per qualsiasi stadio d’Italia, godere di agevolazioni in tutta Italia, avere varchi preferenziali attraverso i quali si entrerà allo stadio solo inserendo la tessera, sconti in tutti gli esercizi convenzionati, la possibilità di acquistare più biglietti anche se la vendita è limitata a un solo tagliando a spettatore.

In pratica chi ha fatto il cattivo niente sconti e vada nei distinti, grazie.

lunedì 7 settembre 2009

Turchia


Sapevo già da tempo che il mio viaggio in Turchia, e nello specifico a Istanbul, avrebbe cambiato qualcosa. Sapevo che stavo per arrivare dinnanzi alla porta per l’oriente e che travalicandola non sarei tornato solo con qualche souvenir da Gran Bazar in più e qualche bella foto da mostrare agli amici. Non sapevo cosa, nello specifico, vi avrei trovato. Non lo so nemmeno adesso o forse sì, magari lo scrivo e proviamo a vedere cosa succede.

L’incipit a Istanbul

Istanbul la decadente, lo specchio dentro cui si riflettono i fasti antichi dei regni Romano d’Oriente, Bizantino e Ottomano, ha avuto il potere, strano e subdolo, di far tornare indietro l’orologio della memoria, di far scorrere le immagini di viaggi e esperienze passati su un nuovo nastro colmo di inediti commenti in sovraimpressione.
Istanbul placidamente addormentata sulle acque del Bosforo, del Marmara e del Corno d’oro è la città delle piccole cose dove ho riscoperto vecchi riti nelle sue strade piene di persone, cani, gatti e cose in vendita. Ho incontrato vecchi racconti della mia città, Cremona, mentre, seduti ad un bar, un venditore ambulante ci offriva pistacchi riportando la mente ai racconti di mia nonna che ricordava il venditore di lupini, visitatore fisso e gradito, delle osterie di un tempo. Sono rimbalzato nella tristezza fiera dei fasti austroungarici che ho annusato a Vienna mentre precorrevo le stanze dei sultani ottomani ricordo di un impero che, scomparso all’improvviso, ha abbandonato sulla terra tanto intensi quanto malinconici ricordi di un tempo glorioso che fu e che mai più tornerà. Ho sentito salire la furia cieca della musica quando in una strada nei dintorni di beyoglu ho ascoltato il suono della sono rimasto lì immobile accostato con le spalle ad un albero ripensando a quando sento il suono della tromba con la sordina e mi si rizzano tutti i peli delle braccia ed i brividi mi scorrono come lievi scariche sulla pelle. Ogni marciapiede, ogni bar, ogni angolo, ogni casa era un porta che dava su una stanza della memoria in fondo alla quale si poteva trovare un’altra porta la quale aperta dava su un’altra stanza la quale dava accesso ad un’altra ancora in un infinito gioco ricordi, specchi, emozioni.
Capisci che la città non è solo fatta di case, strade, persone e oggetti ma ha un’anima nascosta come il fuoco sotto la cenere. Istanbul può sembrare sospesa nel tempo così elegante, sonnolenta, fiera e malinconica ma è una lente attraverso la quale guardarsi.
E così mentre mescoli la zolletta di zucchero che hai fatto scivolare nel bicchiere da tè in un bar che guarda il Corno d’oro, mentre osservi i gesti, cadenzati e simmetrici, della preghiera in moschea, mentre compri la pannocchia abbrustolita dal venditore ambulante per strada, mentre osservi i pescatori attraversando il ponte di Galata su un tram affollato capisci la bellezza delle piccole cose e Istanbul ti ricorda che anche tu vivi di piccole cose sia quando sei a casa sia quando sei in viaggio.

I luoghi e le persone

I luoghi ovvero le strade, le piazze ed i palazzi, ad Istanbul soprattutto, ma in Turchia in generale, sono fondamentali in quanto sono luoghi di ritrovo, famosi o sconosciuti che siano. Niente è così lontano dall’occidente come la voglia di ritrovarsi per strada o su un battello, in un ristornate o una bottega a parlare, spiegare e raccontare a qualasiasi ora del giorno e della notte. Ho visto centinaia o forse migliaia di persone sedute su piccoli sgabelli a gruppi di due, tre o quattro sul ciglio della strada mentre si infervoravano in discussioni a me ignote bevendo tè o giocando alla tavla. Può sembrare molto fannullone agli occhi dell’operoso europeo in realtà è un modo diverso di intendere la socialità ed il momento libero. Noi europei tendiamo a chiuderci in casa, il turco no, ama ancora l’aria aperta e la chiacchera fine a se stessa. Ed allora i luoghi si riempiono, ma che dico riempiono, si affollano di persone ed assumono una nuova dimensione, un nuovo valore. Le piazze meno felici dal punto di vista artistico si affollano di persone, animali, oggetti, profumi, rumori e si trasformano in monumenti alla socialità che meritano una fotografia ed un po’ del nostro tempo tanto quanto il palazzo Topkapi o Hagia Sophia o le Moschea Blu e di Solimano.

La religiosità

Immagino che scrivere, non male, della religione mussulmana in questo periodo di babau e streghe non compiacerà ai più ma la faccenda mi lascia abbastanza indifferente e quindi lo scrivo. Sono entrato nella prima mosche della mia vita, la Moschea blu, molto turistica devo sottolinearlo, completamente a cuor leggero anche per l’atmosfera abbastanza rilassata nei dintorni. Turisti con vestiti firmati, telecamere e macchine fotografiche digitali, zainetti e telefoni cellulari sempre al lavoro brulicavano ma nessun fedele sembrava curarsene mentre si lavava mani, viso, collo e piedi alla fontana di fronte all’entrata. Ho pensato a quanto fosse lontana l’idea di Islam che ci raccontano con interessata saccenza i vari signori dei media o che comunque esistono, per quanto ne vogliano dire, diverse tipologie di Islam ed io avevo davanti ai miei occhi quello moderato. Ma questi velenosi pensieri, che subito mi sono insinuati nella mia testa così sensibile alla polemica, sono scomparsi mentre osservavo la preghiera. I movimenti ritmici, la concentrazione e l’imperturbabilità nonostante il vociare sommesso dei turisti, gli schiamazzi dei bimbi, liberi di correre e rotolarsi sui tappeti, ed i continui flash delle macchine fotografiche, mostravano una sensibilità religiosa molto più profonda e radicata che nel nostro occidente. Lo dico con distaccato stupore in quanto ateo convinto, ma il credo mussulmano possiede aspetti tanto inquietanti, quali la condizione della donna e il fondamentalismo, quanto affascinanti ovvero la tensione spirituale che si avverte nei molti praticanti. Quanto sono lontane le nostre chiese che oramai sembrano contenitori vuoti, frequentati solo da turisti o qualche anziana signora che sgrana il rosario ricordando i propri morti o qualche fedele occasionale che accende il cero alla statua di turno chiedendo una piccola grazia per il figlio o per la moglie malata. Il mussulmano mi è sembrato che ci creda di più e che le tensioni che corrono tra la religioni abramitiche le interpreti più religiosamente che politicamente, come al contrario facciamo noi. Il nostro trattare la religione come una tradizione da difendere, più che un vero e proprio credo da seguire, differenzia profondamente la nostra cultura dal quella mediorientale e non serviranno a nulla le campagne conservatrici che attraversano l’Europa. La spiritualità che abbiamo perso, e che io in tutta sincerità non rimpiango, nasceva dal nostro intimo e nessuno dall’esterno potrà mai riportacela coattivamente. Semplicemente loro ce l’hanno ancora e noi non ce l’abbiamo più. A noi, a me, non rimane che osservare la loro preghiera, più estasiati non tanto dalla religione in se e per se, ma dal modo di interpretarla.

La Storia

La storia in Turchia è la polvere che scorre sulle strade, tutto ciò che abbiamo studiato e conosciuto è passato da qui ed a lasciato una traccia. Popoli e Religioni hanno calcato queste terre ed i Turchi pare che non se ne curino. Non si tratta di menefreghismo o ignoranza: le moschee, i palazzi ottomani, le chiese ortodosse, le rovine di Troia, i campi di battaglia della prima guerra mondiale, le città grecoromane Efeso, Pergamo e Hyerapolis, le mura bizantine, le sinagoghe sembrano per i Turchi oggetti di uso quotidiano e vi riservano la stessa attenzione che noi riserviamo agli oggetti che teniamo sul comò di casa. Non vi è sensazionalismo ne menefreghismo, solo disincantato e fatalistico distacco. Qualche scrittore userebbe l'aggettivo malinconico.

Conclusione

Chi è o cos’è Istanbul? Chi è o cos’è la Turchia? Non lo so. Per me è ancora un mistero dopo tutte queste righe a scrivere e scrivere di emozioni più che di luoghi. Ma forse, se proprio si deve essere costretti ad infilare un finale in ogni cosa che scriviamo e mi si concede la licenza di scrivere una banalità trita e ritrita, posso dire che entrambi sono porte sull’oriente si ma anche su noi stessi, come già dicevo. Porte che danno su altre porte, a noi sta scovare le chiavi che le aprono una ad una.