mercoledì 16 dicembre 2009

πάντα ῥεῖ

Ci sono momenti, nella vita delle persone, in cui si scende per strada e ci si accorge il sole illumina qualcosa di nuovo sulla strada che percorriamo ogni giorno: un negozio appena aperto, modelli nuovi di auto, vestiti e pettinature mai viste. Tutto ciò che vediamo intorno a noi muta tanto lentamente quanto inesorabilmente, il mondo seguita a girare su se stesso, senza sosta, e ad ogni giro qualcosa, o qualcuno, nasce e qualcosa, o qualcuno, muore. Nel bene e nel male.
Ci sono momenti, e sono terribili, in cui ci accorgiamo di essere inadatti a questi cambiamenti o semplicemente leggermente "fuori tempo", un po' indietro, come quando mio Papà comprò un videoregistratore e vide la facilità con cui io o mio fratello interagivamo col nuovo strumento mentre lui faticava e cercava, con malcelato fastidio, di capire cosa facevamo seguendo il libretto delle istruzioni. Quello che capitò a mia Papà capita a tutti, anche a me. Intorno a me, a noi, il mondo cambia e non solo nelle cose materiali, negli oggetti che vediamo e tocchiamo, ma cambiano anche le persone, i desideri, le idee, le passioni. πάντα ῥεῖ (panta rei, scrivendolo con l'alfabeto latino) "Tutto scorre" disse Eraclito cinquecento anni prima di Cristo:
« Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell'impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va.»
scusate se è poco.

Ho questa immagine in mente: un uomo è sul ciglio del suo fiume e guarda l'acqua che scorre. Questo gli da ansia, vorrebbe toccare tutta quell'acqua ma non lo fa ed essa scorre e non torna più, incomincia a girarsi rigirarsi sempre più agitato, cerca di prendere l'acqua con le mani ma ne prende troppo poca e poi gli scivola subito dalle mani mentre cerca di fermarne altra. Si ferma, si guarda intorno, capisce di non poter fermare l'acqua, da giovane aveva corso sula riva del fiume, si era gettato nello stesso, aveva giocato con l'acqua, ma ora ha la sensazione implacabile di non poterla seguire, si sente inadatto, lento, vecchio.

C'è un'altra frase che mi balugina nel cervello da qualche giorno ed è di Albert Camus:
“Vivere contro un muro, è vita da cani. Ebbene, gli uomini della mia generazione e di quella che entra oggi nelle fabbriche e nelle facoltà, hanno vissuto e vivono sempre più come cani. Grazie alla scienza, grazie soprattutto alla scienza”
l'ho letta in un libro di Leonardo Sciascia, l'ha usata per commentare i motivi che lo avevano spinto a trattare il caso Majorana, in un articolo apparso su La Stampa il 24 dicembre del 1975. Majorana era un fisico geniale che visse il suo apogeo verso la fine degli anni trenta quando scomparve, secondo Sciascia, perché aveva intuito quello che la Fisica avrebbe scoperto e creato e l'umanità avrebbe usato: la bomba atomica, ad oggi la peggiore delle invenzioni dell'uomo. Majorana si dissociò dai continui mutamenti dell'uomo, dalle continue scoperte e sparì, sempre secondo Sciascia, in un Monastero del Sud, nessuno lo trovò più. Rifiutò il cambiamento, lo scorrere dell'acqua.

Un secondo uomo è sul ciglio del suo fiume, guarda l'acqua che scorre, capisce il suo moto, la sua sostanza, il suo essere. Intuisce che il fiume potrebbe uscire e travolgerlo e che tutta la sua intelligenza non basterà per fermarlo tanto nel greto quanto fuori. Si allontana, trova un posto isolato, si siede, si prende la testa tra le mani, incassa il viso tra le ginocchia e decide che non si muoverà più da lì, non andrà più a guardare il fiume.

Le persone che vedo intorno a me, i discorsi che ascolto, le parole che leggo tutto converge verso questo problema quasi esistenziale, il disadattamento o disallineamento naturale dell'uomo nei confronti del naturale evolversi del mondo, il suo trovarsi con i piedi nel futuro e la testa alla disperata ricerca di ciò che è passato, di ciò che non vi è più.

Il primo uomo è ancora lì, a mala pena si è accorto di ciò che ha fatto il secondo uomo, il suo strano comportamento, lui rimane lì a fissare inebetito l'acqua che scorre, vorrebbe seguirla, fermarla, averla. Nemmeno si accorge della sua pericolosità. Allora ha un'idea, o gli viene suggerita, prende un barattolo di vetro e ne racchiude lì dentro un poco, quanto riesce, e la tiene con se. Segretamente consapevole che prima o poi l'acqua evaporerà o puzzerà in maniera nauseabonda, ma comunque felice di averla fermata per un attimo, di poterla tenere con sé. Essa sarà la sua tradizione

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