martedì 24 novembre 2009

Salutando Rosolino

Quando qualcuno se ne va via, intendo per sempre, parte anche qualcosa dentro di noi. Ieri sera ho ricevuto un messaggio, diceva:"un tratto dell nostra amicizia è morta, ... Rosolo". E' vero: anche le amicizie si nutrono di eventi, luoghi e persone, e quando qualcosa viene a mancare le stesse non si sviliscono ma sicuramente soffrono, nel significato più letterale del termine. Le persone che conosciamo non si limitano ad essere mera scenografia della nostra vita ma diventano attori attivi nella nostra personale tragicommedia e quando un attore se ne va tutta la storia ne risente ed a volte prende anche nuove vie. Vi sono accadimenti infatti che, senza che ce ne accorgiamo, cambiano il corso della nostra vita.
Rosolo a modo suo ce l'aveva cambiata, la vita, già molto tempo fa quando aveva accolto, me e Franz, nella sala della sua trattoria, una delle poche che abbia ancora il diritto di chiamarsi così in Italia e nel Mondo, e, come viandanti che trovano un rifugio dopo un giorno e una notte di cammino, ci eravamo sentiti finalmente a casa, o qualcosa di simile, sin da subito. Poche smancerie, vino a buon prezzo e panini ben imbottiti, non ci sembrava vero. Poi la differenza la fanno le persone e piano piano dal mangiare e bere si è passati, in maniera naturale, a ridere ed a scherzare con Rosolo e gli avventori da osteria, come noi, fino a diventare amici di tutti, fino ad acquisire una una piccola famiglia alternativa con Rosolo capo famiglia.
Quante volte mi sono rifugiato da lui in cerca di quella tranquillità un po' campagnola fatta di bicchieri di vino e chiacchiere appoggiati al bancone, in fuga dal mondo del lavoro e da quella società così ben vestita ed a modo, così ignorante e plastificata, a ridere, a scherzare, a parlare di politca, sport e cronaca, ad ascoltare racconti, un po' allegri ed un po' tristi, di amicizia, di risse, di colossali bevute, di pranzi e cene, di gite, di persone.
Momenti che ho qui con me e che porterò sempre in giro per il mondo ovunque io vada.

Domenica forse è iniziato un nuovo cambiamento, ma questo poco conta oramai, vorrei solo sapere se anche io ho dato qualcosa a Rosolo da portarsi nel luogo in cui è andato o semplicemente da tenersi stretto mentre era ancora in vita. Chissà.

lunedì 23 novembre 2009

Il crocifisso e le radici razionalistiche dell'Europa

Il Cristo in croce è un simbolo, prima di tutto, e nell'etimologia della parola stessa, dal greco σύμβολον súmbolon ovvero "mettere insieme", troviamo il suo significato più profondo. Potremmo disquisire a lungo sul significato religioso, politico, psicologico e sociale senza trovare però il punto focale della questione. Il crocifisso è il raccordo tra due entità: la religione e l'umanità. La croce è il simbolo visivo, un monito impresso in varie forme e colori su un muro, per ricordarci la fede cristiano cattolica. È un monito: non dimenticare. Ci sono vari modi per vivere la spiritualità e la ricerca del mistico ed è per questo che la croce è lì, per ricordarci in quale modo dobbiamo veicolare l’irrazionale.
Gesù di Nazaret fu un uomo, un predicatore ebreo, vissuto duemila anni fa nella provincia romana della Giudea. Le cronache storiche dell’epoca non ci parlano di lui eppure la sua storia e la sua vita sono state talmente importanti, per l’uomo europeo, che la Storia con la S maiuscola la scandiamo secondo la sua nascita di cui è punto centrale. Tutto è avvenuto, per noi occidentali, prima o dopo di Cristo e tutto questo solo sulla base dei vangeli: i quattro ufficiali di Marco, Matteo, Luca e Giovanni, più una ventina di apocrifi ed un'altra decina tra ipotetici o perduti.
Morì sulla croce, Gesù di Nazaret, ucciso tecnicamente dai romani, anche se la colpa fu data agli ebrei, gli stessi romani che trecento anni più tardi, sotto il regno di Costantino I (e Licinio), con una mossa più politica che spirituale smetteranno le persecuzioni nei confronti dei cristiani e lo eleggeranno ufficialmente come Messia, figlio di Dio, la di cui parola avrebbe portato in mezzo agli uomini durante la sua breve vita. E sulla base dei vangeli, concilio dopo concilio, da Nicea, presieduto da Costantino I (si vede immagine in basso a sinistra con i Padri del Primo Concilio di Nicea che mostrano il Credo, al centro l'Imperatore), in poi, il clero, gli uomini a lui votati, costruirono prima una religione, fatta di moniti e regole di comportamento derivati dalla parola di Gesù, eleggendo l’agonia dello stesso come simbolo più alto del loro credo, poi uno Stato con il suo re, la sua corte, il suo popolo, il suo esercito e le sue terre, in Europa, in Italia, a Roma. Perché il culto di Gesù, ebreo, si spostò proprio in Roma eleggendola come capitale? Quando Gesù disse la frase: “Su questa pietra costruirai la mia chiesa” specificò un luogo? E Pietro dopo aver gironzolato per il medioriente con sempre alle calcagna i romani pronti a fargli la pelle, perché scappando si rifugiò proprio a Roma (dove Nerone gli fece la pelle)? Era un problema politico o semplicemente un’attrazione fatale verso la città eterna? I vangeli e gl'atti degli apostoli non specificano nulla in merito e naturalmente non è un problema che si sono posti i credenti, certo è che la Chiesa Romana Cattolica, una volta legittimata con l'Editto di Milano, non si limitò a dirigere un culto ma creò, come detto, uno Stato, con l’accordo delle autorità imperiali, e si scagliò anche contro tutto ciò che aveva intorno e che poteva, anche solo lontanamente, nuocerle: prima le eresie, poi lo scisma dalla chiesa ortodossa, infine la perenne lotta contro Islam (le crociate cristiane, la guerra santa dell’islam).
Ecco quindi che Gesù in croce diviene "il crocifisso" ovvero il simbolo, di nuovo lui, di un modo di credere ed anche di un potere. L’uomo Gesù inchiodato alla croce, la sua presunta natura umana e divina, la sua agonia sono il simbolo della religione cattolica e del suo predominio sull’Europa iniziato e continuamente cresciuto dopo i fatti appena accennati.
Ora, dopo secoli, qualcuno intende chiamare tradizione la credenza religiosa derivata dai poco chiari fatti appena descritti. Evitando di affondare ulteriormente il dito nella piaga (mai metafora fu più azzeccata) atteniamoci alla linea etimologica fin qui tenuta cercando di chiarire cosa significa la parola tradizione, dato che il suo significato può essere vario, anche a seconda dei campi in cui lo si applica: la parola deriva dal latino traditiònem a sua volta derivante da tràdere = consegnare, trasmettere. Tradizione è ciò che noi riceviamo e trasmettiamo. Ma il termine tradizione è anche inteso come consuetudine ed anche se i due significati possono essere in relazione la loro fondamentale differenza sta nell'attivismo della trasmissione e nel passivismo di quest'ultima. Trasmettere infatti presuppone un'azione, il recepimento di qualcosa che a sua volta deve essere portato da un soggetto attivo verso un'altro soggetto affinché lo stesso lo recepisca ed effettui la stessa azione in processo che può durare all'infinito, fino a quando perlomeno in questo circolo virtuoso non si inserisce un soggetto passivo, ed il concetto di attivo poi è importante in quanto il soggetto che trasmette non è semplice trasportatore ma è implicato anche in un processo di azione diretta sul soggetto trasportato. La consuetudine invece è passiva, è l'accettazione e la messa in pratica di stilemi prestabiliti, non prevede attività di sorta se non quella del ricevere, acriticamente, e necessità di simboli che leghi i soggetti che praticano la consuetudine a coloro che ne decidono la sostanza.
Si potrà ben intuire come la Religione Cristiano Cattolica, come tutte le religioni del resto, sia un tipo di tradizione consuetudinaria, coloro che la praticano non devono ne pensare ne decidere a loro è solo richiesto di credere e quindi di ricevere. Resta solo da capire se in Europa esiste anche una tradizione che si rifà al significato primo della parola stessa, al concetto ciò di trasmissione attiva. Naturalmente c'è ed è ben più antica e profonda rispetto a qualsiasi religione moderna, diffusa in Europa o meno, ed è il razionalismo. Il razionalismo (dal termine latino ratio, "ragione") è una corrente filosofica basata sulla tesi che la ragione umana può in principio essere la fonte di ogni conoscenza (cit. wikipedia.it). La sua origine risale sin ai tempi dei filosofi ellenici: Talete di Mileto, ad esempio, studiò le proporzioni fra le grandezze geometriche ed astronomiche ed iniziò a portare questo modo razionale di pensare anche in campo filosofico (cit.: wikipedia.it). Ma anche Pitagora, sempre intorno al VI a.c. intuì che attraverso i numeri era possbile spiegare una moltitudine di cose.
Fu però con la scuola di Atene che il razionalismo prese la sua forma concreta. C'è un bellissimo affresco di Raffaello nei palazzi Vaticani, in esso è raffigurata una grande scena con all'interno molti filosofi e matematici: Eraclito, Euclide, Pitagora, etc; al centro Platone ed Aristotele.


"Platone, dipinto con le sembianze di Leonardo da Vinci, regge in mano la sua opera Timeo ed indica il cielo con un dito (indicando l'iperuranio, zona d'essere oltre il cielo dove risiedono le idee), mentre Aristotele regge l'Etica e rivolge il palmo della mano verso terra rivolgendosi al mondo terreno e alla volontà dell'uomo di studiare il mondo della natura e di essere in contatto con essa." (fonte wikipedia.it)
Platone ci parla dell'iperuranio, dell'irrazionale, della nascita del pensiero in un luogo lontano da noi e, forse, vicino ad un dio, Aristotele invece ci parla di razionalità, di scienza, della capacità infinita dell'intelletto umano.
Forse in quel momento storico, così ben riportato da Raffaello, nacque il Razionalismo che divenne a breve "tradizione" nel primo significato che abbiamo dato. I razionalisti infatti, durante tutti i secoli sino a noi, tramandarono le loro teorie, studiarono e svilupparono le loro capacità in centinaia di campi diversi, per la maggior parte molto utili all'uomo, dalla matematica alla medicina, dalla geometria all'arte, dalla biologia all'ingegneria meccanica ed elettronica.
Personalità che hanno dato un veemente sviluppo alla Storia dell'uomo si sono susseguite nei secoli da Aristotele in poi, i filosofi come Bacone, Hobbes, Leibniz, Spinoza, Montesquieu, Voltaire, Kant, scienziati ed artisti come Michelangelo, Leonardo da Vinci, Galileo Galilei, Cartesio, Newton sino ad arrivare a Popper.
Questa è la vera tradizione Europea, ed è grazie a questi campioni della mente che, insieme a centinaia di altri che per motivi di spazio non posso enunciare, hanno posto i loro neuroni al servizio della conoscenza ed hanno tramandato la loro filosofia e le loro scoperte anche mettendo a repentaglio la loro vita (Galileo Galilei vi dice qualcosa?) se oggi noi europei, credenti o meno, ce ne andiamo in giro nella nostra bella macchinina con l'aria condizionata, se parliamo con un tizio dall'altra parte del mondo camminando per strada con un aggeggio in mano, se io seduto nel mio ufficio batto le dita su dei piccoli pezzetti di plastica appoggiati su un grande pezzetto di plastica a cui attaccato un filo che si attacca chissà dove e, come per incanto, le parole che ho in mente schizzano in tutto il mondo e chiunque ora può leggere, e scoprire, che sto parlando contro il crocifisso nelle scuole e che tutto questo lungo preambolo era funzionale al concetto espresso così all'improvviso.
Leggete bene, non contro il crocifisso, ma contro il crocifisso nelle scuole.
E se non vi è chiaro il perché ve lo paleso: come appena spiegato non è vero che la nostra tradizione Europea è cattolica ma bensì razionalistica e non vi è luogo più adatto alla consacrazione di essa se non proprio nella scuola dove vanno banditi tutti i simboli religiosi ed appesi alle pareti le gigantografie dei premi Nobel, la foto di squadra degli scienziati del Cern, degli scrittori, dei matematici e, visti i tempi, degli informatici che hanno cambiato la nostra era.
Tutto il resto è consuetudine, che non va studiata e quindi il suo luogo non è la scuola, ma assorbita da coloro che ne sento il bisogno, la necessità o che semplicemente lo credono giusto.

La Scuola è il luogo dove deve trionfare la ragione e non l'irrazionale.

martedì 17 novembre 2009

Il canto degli Italiani

La nostra bella Italia non si smentisce mai. Quando penso al mio paese lo faccio sempre con un misto di orgoglio e rabbia, certe volte vorrei andarmene per sempre, lasciarmi alle spalle tutto il male che attraversa lo stivale ma ho paura che, dopo poco, ne avrei una nostalgia mortale (dello stivale non del male). In fondo tutto ciò che mi sconforta è questo continuo senso di precarietà. Perchè "poche regole ma ferme" detto in Italia pare una bestemmia sul sagrato di San Pietro. Non abbiamo punti di riferimento e tutto ciò che è potrebbe non essere più e viceversa. Tutto è provvisorio e lo era perfino il nostro inno, divenuto ufficiale solo il 17 Novembre di quattro anni fa. Il "Canto degli Italiani" meglio noto come l'Inno di Mameli o Fratelli d'Italia (che è un pò come chiamare "Respiri piano per non far rumore" "Albachiara" di Vasco Rossi) fu scritto da Goffredo Mameli e musicato da Michele Novaro nel 1847. E' un inno risorgimentale creato quando l'Italia era ancora divisa e vessata dall'impero austroungarico; può suonare retorico, bellicoso in alcune sue parti, poco adatto alla nuova condizione di Italia unita, che poi era il fine ultimo dello stesso, ma fu adottato il 12 Ottobre 1946 come inno del novello Stato Italiano ma provvisorio tant'è che nessun articolo della costituzione ne ha mai parlato, ed è rimasto tale sino al 2005.
Per più di cinquant'anni ci siamo presentati in giro per il mondo alle cerimonie, alle parate, alle partite delle nazionali, alle cermonie di consegna meglie olimpiche e non, con il nostro bell'inno, perchè chi lo definisce una fiacca marcetta è un idiota, che però non era mai stato ne ufficilizzato tanto meno legittimato. Si pensi che dal 1970 ogni esecuzione dell'inno nazionale dovrebbe essere accompagnata da quella dell'inno europeo, l'Inno alla gioia della Nona sinfonia di Beethoven, in carica ed ufficiale da anni, a differenza del nostro.
Forse questa fatto dice molto, molto più di quanto possiamo pensare, di come siamo noi Italiani, di come abbiamo fatto l'Italia e di come, forse, saremo. Belli ed incompleti, destinati a farci freagare sempre dal primo piazzista che passa per strada perchè incapaci di avere punti di riferimento anche solo minimi e di mera rappresentanza. Ed il "Canto degli Italiani", ora che è ufficiale da qualche anno, pare più un canto del cigno degli italiani e le sue parole così cariche di intenzioni, di carattere, di appartenenza suonano goffe e grottesche, buone giusto per uno spot.


Tomba di Goffredo Mameli presso Cimitero Comunale Monumentale Campo Verano - Roma

Fonti: wikipedia.it; www.quirinale.it

venerdì 13 novembre 2009

Chi inventò il World Wide Web rifiutò i profitti

E' storia risaputa che il World Wide Web ovvero uno dei servizi più utilizzati, insieme alla posta elettronica, di internet è nato il 6 agosto 1991, giorno in cui l'informatico inglese Tim Berners-Lee, in servizio permanente effettivo presso il Cern (Conseil Européen pour la Recherche Nucléaire) di Ginevra, il più importante laboratorio di fisica europeo, lanciò definitvamente il servizio di interscambio dati tra due server tramite una telefonata. L'idea era nata qualche anno prima pubblicò il primo sito web dando così vita al fenomeno della tripla W. L'idea era nata un paio d'anni prima nel Marzo del 1989 quando lo stesso Tim presentò un progetto per l'interscambio di informazioni, veloce e pratico, tra scienziati. Il progetto fu valutato interessante e poi successe quello che ben sappiamo.

Ma non tutti però sanno che il Cern, il 30 aprile 1993, ha deciso di mettere il WWW a disposizione del pubblico rinunciando ad ogni diritto d'autore.

Forse adesso coloro che lavorano presso il Cern staranno pensando di quali profitti si sono privati, staranno pensando ai soldi che fanno i magnati del porno, le società di telecomunicazioni, i vari google, micorsoft, yahoo, facebook, ebay. Fiumi di denaro si sono riversati su tutti tranne che su loro, nemmeno una targa o un nome su una via.

Oppure staranno pensando che, grazie alla loro scelta, hanno impresso la più grande accelerazione al processo evolutivo dell'uomo. Sono passati poco meno di vent'anni dalla prima pagina scritta sul world wide web ed ora questo strumento, nel bene e nel male, è parte integrante della nostra vita. Lo usiamo al lavoro, nel tempo libero, per cercare informazioni, per prenotarci la vacanza, per comunicare con gl'amici, per ridere, per eccitarsi o svagarsi, per trovare. Ed anche se il 90% del mondo internet è perfettamente inutile ai fini evolutivi, quel 10% basta ed avanza per cambiare il mondo sotto i nostri occhi. Solo dieci anni fa se un mio amico fosse andato a vivere in Brasile l'avrei perso di vista per sempre o ci sarebbe rimasta la corrispondenza epistolare. Ora con lui mi scrivo, mi parlo, ci scambiamo foto, impressioni, opinioni, sia che sia in ufficio, a casa o chissà dove. La ragnatela del WWW è ormai dovunque ed il suo sviluppo così rapido, ed il contestuale sviluppo del mondo, lo dobbiamo solo alle persone che hanno anteposto gli ideali ai guadagni.
Gente talmente rara ma per fortuna esistente, se no chissà dove andremmo a finire.
La prima pagine del World Wide Web

Fonti: wikipedia.it

mercoledì 11 novembre 2009

I martiri di Chicago

Il primo maggio nel 1886 non era ancora la Festa dei lavoratori, ma quel giorno i sindacati americani avevano organizzato a Chicago uno sciopero per rivendicare la giornata lavorativa di otto ore, battaglia vinta e di cui abbiamo beneficiato... fino a poco tempo fa. Due giorni dopo, il 3 maggio, lo sciopero non era ancora terminato e gli scioperanti si incontrarono di fronte alla fabbrica di mietitrici McCormick. Lì vennero attaccati senza preavviso dalla polizia di Chicago, le conseguenze furono: due morti e molti feriti. La notizia si diffuse rapidamente tra gli operai della città, tanto che alcuni anarchici locali distribuirono dei volantini che invitavano gli operai ad un presidio ad Haymarket Square per protestare contro il comportamento della polizia, a loro giudizio mosso da interessi, invitando i lavoratori a chiedere giustizia.
Ed il presidio ci fu in Haymarket Square, sotto la pioggia, il 4 maggio 1886, con l'anarchico August Spies che parlava alla gran folla da un carro al lato della strada. Naturalmente c'erano pure i poliziotti a presidio. Sono contrastanti le versioni che da questo punto del racconto in poi si intrecciano, qualcuno dice che Spies, l'oratore, incitò troppo veementemente la folla, qualcuno parla di volantini con scritte reazionarie, qualcuno parla di semplice iniziativa della Polizia, si sa solo che la stessa ordinò alla folla di disperdersi, cominciando a marciare in formazione verso il carro degli oratori. In quel momento una bomba volò contro la linea dei poliziotti, atterrando vicino al poliziotto Mathias J. Degan, che morì sul colpo. A quel punto la polizia aprì il fuoco sulla folla, ferendo dozzine di persone e uccidendone undici, fra cui sette agenti colpiti dal fuoco amico. Molte persone rifiutarono di farsi curare in ospedale per non incappare in un arresto ed in una ritorsione della polizia.
Otto persone collegate direttamente o indirettamente con la protesta e i suoi organizzatori anarchici furono accusati della morte di Degan: August Spies, Albert Parsons, Adolph Fischer, George Engel, Louis Lingg, Michael Schwab, Samuel Fielden e Oscar Neebe. Ci fu il processo.
Durante lo stesso non fu portata alcuna prova del collegamento tra gli imputati e il lancio della bomba, ma gli stessi vennero accusati di connivenza ovvero di aver incitato un fantomatico assassino a buttare la bomba.
La giuria emise verdetti di colpevolezza per tutti e otto gli imputati, con condanna a morte per sette di loro.
Alla conclusione dei processi d'appello il governatore dell'Illinois Richard James Oglesby commutò le sentenze capitali di Fielden e Schwab in ergastolo.
Alla vigilia dell'esecuzione Lingg si suicidò nella sua cella accendendosi un sigaro pieno di dinamite e facendosi letteralmente esplodere il volto. Agonizzò per diverse ore prima di morire. Gl'altri quattro, Spies, Parsons, Fischer, e Engel vennero impiccati l'undici maggio 1887 (oggi ricorre l'anniversario), un anno dopo i fatti di Haymarket Square. August Spies, prima di essere ucciso, pronunciò la celebre frase "verrà il giorno in cui il nostro silenzio sarà più forte delle voci che strangolate oggi".

Il 26 giugno 1893 il governatore dell'Illinois firmò i provvedimenti di grazia per Fielden, Neebe e Schwab, dopo aver constatato l'innocenza di tutti e otto gli imputati. I cinque martiri di Chicago però erano già morti.
Il comandante di polizia che ordinò di disperdere la folla fu in seguito condannato per corruzione.

Explosion that set off the Haymarket Riot in 1886
Fonti: Wikipedia.it; vari siti anarchici.

lunedì 9 novembre 2009

Berlino 18 anni dopo la prima visita

Ci sono stato cinque volte a Berlino.
La prima ero poco più che un adolescente era il 1991, all'inizio credo, e la città era da poco più di un anno di nuovo unita. Arrivammo a Berlino da Norimberga, percorrendo la ex DDR su una strada semi deserta, senza case ai lati e lastricata di cemento. In città si respirava un'atmosfera strana. Le strade dell'ovest, dove dormivamo, erano luccicanti di vetrine e la gente camminava a frotte per strada lungo il Kudam', la via principale della Berlino ovest anni '80. Vidi anche le prime prostitute della mia vita che, mischiate alla folla, adescavano gl'adulti alla luce del giorno, per usare un eufemismo in realtà era sera. L'Ovest, ovviamente, non mi colpì. Lì Berlino era una qualsiasi città delle nostre parti, con l'aggravante di non essere gran che. Tranne la Chiesa della memoria la Gedächtniskirche, di cui per altro rimane ben poco, contro bilanciata da una chiesa moderna a fianco, non vi era nulla che valesse la pena di uno sguardo. Solo il muro era l'attrazione, era ancora in piedi e lo si poteva toccare. Quando lo vidi la prima volta, arrivando dal Tiertgarten, con la porta di Brandeburgo che lasciava intravedere l'Est mi colpì la desolazione. Berlino era una città piegata dalla storia e triste. Sembrava un vecchio nudo che sostiene, con l'ultimo slancio di dignità rimastogli, lo sguardo delle persone presenti. L'Est invece mi colpì perché di colpo la storia, che si era materializzata di fronte al muro, mi si catapultò addosso. Ricordo che percorremmo in pullman l'Under der Linden, il viale dei tigli, nella desolazione e nell'abbandono più totale, arrivammo davanti al palazzo della Repubblica, abbattuto di recente, con di fronte il Duomo di Berlino e l'isola dei musei, a pochi passi Babel platz, dove i nazisti bruciarono i libri. I fantasmi delle ideologie erano ancora lì ed io non me ne resi completamente conto.
La desolazione era ovviamente frutto della fuga dei russi, in realtà, lo scoprii più tardi, durante la DDR la popolazione non viveva male se non fosse stato per quel "piccolo" problema di limitazione della libertà personale. Lo dimostra il fatto che una volta superato il muro, il 9 Novembre 1898, molta gente non fece altro che ritornarsene a casa perché nell'occidente non sapevano che fare e nondimeno oggi molte persone dell'Est rivorrebbero la DDR convinte che il capitalismo abbia introdotto un nuovo regime fatto solo di debiti e vizi, quello che volevano i cittadini dell'Est era la libertà ed a loro fu data solo quella di comprare, se avevano i soldi.
Il mio passaggio ad est fu comunque fulminante, per la prima volta nella mia vita vedevo non una bella città, non una serie di palazzi o musei, ma toccavo con mano la storia vissuta che con l'esteticamente bello, spesso, a poco a che fare, i miei occhi vedevano un paese non occidentale, diverso quasi affascinante.
In ultima istanza intuii anche che Berlino ed i berlinesi erano strani, percorsi da una linfa vitale che non si riscontra in nessun altro luogo in Europa, dove viviamo la nostra vita beandoci di ciò che abbiamo e senza avere troppi grilli nella testa in merito a faccende quali "creare" o "inventare". La conferma avvenne anni dopo.

Tornai a Berlino nel 1999, un mio amico pianista suonava per la prima volta in Berlino, ed io lo segui sull'onda dei ricordi del 1991. Trovai un cantiere a cielo aperto. Alloggiavo sempre ad ovest, lungo il Kudam'. Berlino Ovest era sempre Berlino Ovest ed il Kudam' sempre il Kudam'. Palazzi sbertuccianti, molta gente per la strada e le prostitute dopo le nove di sera. Non era cambiato nulla. Quando mi avvicinai al muro invece, in prossimità di Potzdammer Platz, mi accorsi che le cose stavano cambiando. Il simbolo della divisione tra blocchi non c'era più, ne rimanevano pochi tratti a macchia di leopardo. Der Mauer era diventato un'attrazione turistica. Il nuovo centro di Berlino venne progettato sulle ceneri della zona della divisione e stava nascendo sotto l'egida dei grandi capitali e dei grandi progetti. Renzo Piano disegnò un volto ultra moderno e futuribile. Ma Berlino non stava cambiando solo lì, tutto l'est doveva rifarsi il trucco per presentarsi all'occidente come un luogo degno dello stesso e lo fece. Passeggiai a lungo per i luoghi della ricostruzione e fortunatamente in compagnia di un architetto che mi spiego il senso di alcune opere, che a mio avviso apparivano solo quali eco-mostri. Con lui capii molte cose alcune delle quali mi vennero confermate solo più tardi. Ad esempio ho di recente avuto conferma che i palazzi di Piano, presso Potzdammer Platz, ricalcano vecchi progetti di artisti Bauhaus oppure che molti palazzi della Friedrichstraße, la strada che nel '91 aveva solo palazzi grigi con le assi alle finestre, furono ricostruiti sul modello dei palazzi che vi erano ad inizio '900 violentati dal Terzo Reich, dai bombardamenti russo/americani e dalla DDR. Insomma Berlino, dopo la sbornia della riunificazione, stava lavorando per ridiventare la capitale, della Germania ma anche dell'Europa, economica ma anche culturale. Se Berlino infatti, durante gl'anni della divisione, aveva mantenuto il gusto per l'arte, mai fine a se stessa, ma sempre in movimento, men che meno lo perse dopo. Nel '99 le gallerie d'arte moderna spuntavano come funghi, le installazioni per le strade erano già all'ordine del giorno ed i concerti, solo di musica classica, erano una ventina a sera, senza contare che Berlino era ed è pure la capitale della musica tecno.
L'effervescenza intuita nel '91 si palesò otto anni dopo.

Qualche anno dopo, ma non riesco ha ricordare chiaramente se ne 2002 o 2003, in occasione di un concerto Konzerthaus dell'amico pianista di cui sopra, che nel frattempo faceva carriera, con un amico sbarco, per la terza volta, a Berlino, dopo un viaggio eroico attraverso Austria, con bufera di neve, e Germania. Quei giorni furono strani perché entrammo a contatto con l'ambiente bohémien Berlinese fatto di artisti e pazzi, persone che dialogano di spartiti e mangiano indiano, filosofi che vorrebbero farsi picchiare dalla consorte e ragazze che parlano cinque lingue come io parlo l'italiano. Vidi in quei giorni in Berlino una città da vivere. Non più la città divisa, non più la città che rinasce, ma la città com'era prima che la storia la travolgesse, con uno sguardo malinconico al suo passato, i piedi fermamente ancorati al suo presente e la mente già rivolta al futuro. Ricordo che in quei giorni entrai a Kreuzberg, il quartiere turco/multietnico per la prima volta, precedentemente ero sempre rimasto ai margini, e vidi la potenza esplosiva della multiculturalità, in voga anche a Londra per carità e per certi versi anche a Parigi, sia nel bene che nel male. Anche lì fu una folgorazione per me giovane ragazzo italiano di provincia, l'Italia è tuta una provincia, vedere ciò che, con lentezza e mille polemiche, sarebbe inevitabilmente successo da noi. I berlinesi già lo sapevano ed attuavano già allora ciò che qui in Italia era impossibile. A parte questa dissertazione in chiave antropologica folleggiare lungo le strade del Mitte e dei quartieri emergenti, senza comportarmi da turista, senza fotografare ogni angolo, statua, palazzo, comportarmi quasi come fossi un berlinese, mi diede una felicità strana, quasi che fossi partecipe della cultura della città, quasi che la stessa mi instillasse un po' della sua linfa, di cui ho parlato prima, nelle mie vene.

Passano solo cinque o sei anni e nel 2008 torno, nuovamente, a Berlino con un comodo viaggio in aereo, niente più viaggi al limite dell'umano, con una compagnia di amici, che mi usano (si fa per dire) come guida turistica. Questa volta la sistemazione è ad Est in una casa che pare il covo della Stasi a Prenzaluenberg. Mi immergo nei luoghi classici di Berlino, con la possibilità rara, di poter rivedere con altre occhi i musei ed i monumenti classici di Berlino visti per la prima volta sedici anni prima. Il Reichstag, la Porta di Branderburgo, Il Pergamon, la Colonna della Vittoria, cerchiamo di vedere il più possibile ma il tempo è limitato e tralasciamo molto, che integrerò l'anno successivo. In quei giorni la città mi è apparsa più serena, meno tesa, anche se con i segni della ricostruzione erano ancora ben evidenti. Del Palazzo della DDR, che vidi la prima volta nel '91, oramai rasato al suolo stavano per essere macinati anche gli ultimi resti ed i ricordi di questa nazione nata dalle follie della seconda guerra mondiale relegati in piccolo museo ai bordi dell'isola dei musei. La faccenda può sembrare malinconica ma i berlinesi sanno guardare avanti, senza rimorsi.
Berlino 19-24 11 2008


Ed eccoci nell'anno 2009, quello della mia quinta volta a Berlino, mentre invecchio Berlino ringiovanisce. Al posto del palazzo della DDR c'è un prato e la casa di Preazlauenberg dove alloggiavo nel 2008 e dove sono stato anche quest'ultima volta è attorniata da cantieri. Spero vivamente che la tengano così, è uno dei sempre più rari esempi di palazzo berlinese della Berlino Est.
In questa ultima, per il momento visita, finisco ciò che era rimasto incompiuto nel 2008 (Gemaldegallerie, Bauhaus, Museo Ebraico, Wansee) e mi immergo nella città ed anche nel quartiere dove alloggio riscoprendo i colori di Berlino grazie anche al sole che nelle altre visite era stato sempre un po’ latitante. Sì perché può sembrare starno ma Berlino è anche la città dei colori. Colori sulle case, colori nei murales giganteschi, colori nei vestiti, sulle auto, nei locali. Il colore libero e fantasioso è la regola che poi ribadisce quanto già detto sul "modus vivendi" berlinese eccentrico ed estroverso. Ed infatti Berlino è la città dell'aria aperta: mercatini all'aria aperta, birrerie all'aria aperta, parchi ovunque e gente che esce e passeggia o gira in bicicletta (potete acquistarne una a 50 euro all'inizio della vacanza e rivenderla alla fine della stessa al mercatino di Prenzaluenberg) sembra di trovarsi a contatto con una società pretelevisiva. Il sole ha illuminato una Berlino ancora diversa e più calorosa delle altre volte. Se ci penso bene poi non sono mai stato in estate in questa città e forse è stato un errore, avrei dovuto sapere che Berlino sarebbe potuta cambiare anche con un solo raggio di sole.
Berlino 09